"Reportage di Viaggio" è la raccolta dei viaggi organizzati da Socchi Adriano, titolare dell'agenzia CULTURE LONTANE


Varanasi: la città santa degli induisti

28.08.1999 18:08

In India tutte le strade conducono a Varanasi la città santa per eccellenza dell’Induismo.


Varanasi, meglio conosciuta con il nome di Benares datogli dai dominatori inglesi, è una delle più antiche città del mondo, ma soprattutto l’anima spirituale dell’India. Un viaggio in questo paese non può e non deve, a nostro personale giudizio, non includere una visita alla città.

Antiche scritture induiste la definiscono la Città Eterna in quanto dimora del dio Shiva. Le stese scritture sostengono che la città sorga sul terreno più sacro che ci sia sulla Terra. Per questo, e tanto altro ancora, Varanasi è la più sacra delle città sante dell’India; è il luogo delle abluzioni nel Gange, dei ghat, delle pire funerarie, dove è impossibile restare osservatori impassibili. Non importa se l’entrata alla maggior parte dei templi è proibita a quanti non sono di fede induista, perché la sacralità si osserva sulle sponde del Gange, ossia la grande Madre Ganga, la figlia dell’Himalaya e inevitabilmente si finisce per immergersi nell’atmosfera pregna di spiritualità che solo questa città santa trasmette ed emana.

I testi induisti raccontano che Ganga si convinse a scendere sulla terra in seguito alle implorazioni del Re Bhagirath, il quale vi si era rivolto affinché raccogliesse nelle proprie acque le anime dei suoi Avi, inceneriti dalla potenza di Vishnu. Soltanto così si sarebbero sottrarti dalla maledizione eterna. Ganga, allora, scese sulla terra e lo fece con così inumana violenza da spaventare le stesse Divinità. La Grande Madre Ganga è l’immagine perfetta dell’Induismo, è l’immagine trasmigrante di Shiva: ora tempestosa e distruttiva, ora serena e gentile. 

Vi giungiamo a metà pomeriggio. Vediamo Varanasi e il Gange, quanto c’è di più sacro in India, per la prima volta e nello stesso momento. Per un attimo credo di provare quelle stesse sensazioni che devono assalire i pellegrini al loro arrivo nella città: fede, grazia, misericordia ed eternità.

La città si distende lungo la riva occidentale del Gange, quella orientale, infatti, è considerata impura. Lo s’intuisce facilmente dal contrasto dei grandi palazzi e dei templi, dalla miriade di guglie che si elevano qua e là, e dai numerosi ghat, scalinate su cui un continuo andirivieni di gente scende al fiume per le abluzioni. Un formicolio di vita, dunque, anima a tutte le ore del giorno la sponda occidentale in antitesi con la sponda opposta del fiume desolante e desolata.

Piove, ma la gente sembra non badarci più di tanto. E’ il solito acquazzone monsonico pomeridiano, più o meno violento, che ci perseguita dal nostro arrivo nel sub-continente, siamo d’altronde in piena stagione delle piogge. Il fiume Gange è in piena per via della stagione, appunto, tanto che i ghat sono in parte sommersi dalle acque putride, marroni, sporche e melmose.

La nostra visita inizia al Tempio di Bharat Mata dedicato, alla Madre India, uno dei tre, da quel che mi risulta, aperto a tutte le religioni, noto perché all’interno vi si trova una grande mappa in rilievo dell’India. Da qui con un tuk-tuk, preso a noleggio per l’intero pomeriggio, proseguiamo per il Nuovo Tempio di Vishwanath in cui è conservato il venerato lingam di Shiva. E’ ormai buio, ma troviamo il tempo per visitare l’ultimo dei templi il cui ingresso non ci è proibito per via della nostra fede cristiana, il Tulsi Manas Mandir, in stile Sikhara. Il tempio è famoso per via dei suoi muri sui quali è riprodotta la versione hindi del Ramayana, il poema epico che racconta la storia di Rama, una delle tante reincarnazioni di Vishnu.

Termina qui il nostro primo giorno a Varanasi. Attendiamo impazientemente l’indomani quando visiteremo la vera Varanasi. All’alba abbiamo appuntamento con un barcaiolo che ci accompagnerà ad assistere allo straordinario spettacolo che si ripete tutte le mattine al sorgere del sole: le abluzioni dei fedeli nel Gange.

Prima dello spuntare dei primi raggi del sole siamo già sull’imbarcazione, come tanti altri turisti che a loro volta fanno il giro in barca sul Gange. Lungo i tre chilometri di ghat, ce ne sono di grandi e piccoli, ognuno con la sua storia e la sua tradizione, ogni gruppo di turisti avrà modo di isolarsi dagli altri e pensare di essere da solo ad assistere al toccante spettacolo e assaporare la mistica atmosfera che tutto avvolge.

Il nostro tour dura due ore e per tutto il tempo assistiamo ad un continuo fluire di fedeli che scendono a pregare nelle acque sante del Gange: uomini, bambini e donne, quest’ultime avvolte in fantasmagorici e colorati sari, che si purificano dai peccati commessi. Di tanto in tanto, si vedono giovani intenti in esercizi yoga o sadhu in meditazione. Risalendo e scendendo il fiume in acqua vediamo di tutto, addirittura una carcassa di un animale che segue il docile scorrere del fiume. Più d’ogni altra cosa si vedono galleggiare tante collane di petali di fiore, le offerte fatte alla Grande Madre Ganga. In ogni Ghat si trova un venditore di queste collane. 

I Ghat di Manikarnika e di Harischandra sono i più suggestivi, luoghi dove più che altrove si avverte la spiritualità della religione indiana. Qui viene esercitato il rito della cremazione. I corpi dei defunti vengono trasportati su una lettiga di bambù avvolti semplicemente da un lenzuolo e deposti sulle pire funerarie, cataste di legno opportunamente preparate, bruciati ed infine le loro ceneri buttate nel Gange. Ci fermiamo nel bel mezzo di una cremazione e dopo poco tempo veniamo completamente avvolti da folate di fumo misto cenere. Aggiungeteci il caldo insopportabile, la fastidiosa umidità e l’odore acre della carne umana bruciata e capirete perché sembrava di soffocare. Sordi scoppi si susseguono all’interno della pira insieme con quello dei bastoni dei fuoricasta, coloro che sono addetti a mantenere il rogo che, appunto, ravvivano il fuoco picchiando sui tizzoni ardenti con dei grandi bastoni.

La guida ci spiega che le tre ore di cremazione necessarie ad incenerire completamente un corpo costano 2.500 rupie, ossia 120.000 lire, una cifra di cui soltanto i ricchi indiani possono disporre. I poveri non possono permettersi di comprare la legna e pagare tutto il lavoro necessario per preparare la pira funeraria, così per loro ci sono i forni crematori elettrici assai più economici anche se meno sacri e rituali. Il corpo, infatti, viene incenerito in appena 15 minuti. Il funerale in questo caso costa appena 250 rupie, ossia 12.000 lire. 

Dopo esserci immersi nella vita del fiume, c’immergiamo per il resto della giornata in quella della città. A ridosso del Gange, Varanasi è un groviglio di vicoli dove a stento passano i tuk-tuk, pochi a dire il vero. Osserviamo figure umane difficili da descrivere e definire: sono i malati terminali, i senza speranza, condotti fin qui, dai propri familiari, da ogni parte dell’India, per morire poiché il luogo sacro su cui sorge la città è propizio per lasciare la vita terrena. Chi si spegne a Varanasi ha l’accesso al paradiso. Ecco perché tanti vecchi, moribondi, malati, storpi si ammassano qui subito a ridosso della riva, aspettando di morire!

Il labirinto di piccole stradine e vicoli sembra una fogna a cielo aperto, eppure anche qui, in mezzo a questo fetore, le persone comprano e vendono verdura su improvvisati banchetti, i bambini giocano a rincorrersi, le mucche pascolano indifferenti come in un prato. Prestando attenzione a dove si posano i piedi, giungiamo al Golden Temple (Viswanatha) la cui entrata è riservata solo agli induisti. Lo sa bene un astuto e gentile indiano la cui casa si trova proprio accanto. Se sosterete davanti all’ingresso, il personaggio in questione vi adocchierà e per un piccolo compenso di denaro verrà a proporvi di salire sul suo balcone da dove si può vedere molto bene l’interno del cortile del tempio. Vediamo così i fedeli pregare sul lucido pavimento di marmo, cosparso di monetine e di fiori, alcuni appassiti, altri belli fioriti. D’alto vediamo meglio che non dalla strada la cupola del tempio, famosa per essere stata ricoperta da una tonnellata d’oro - da cui il nome di Tempio d’Oro – per volere del Maharajah Ranjit Singh del Punjab, lo stesso che fece altrettanto al Tempio d’Oro di Amristar.

Visitiamo, poi, sarà l’ultimo, il Tempio della Dea Durga, non tanto per la sua interessante struttura quanto per vedere le numerose scimmie che lo popolano, tante davvero e, come avvertivano le guide, anche moleste. Il Tempio, non per niente, è conosciuto anche con il nome di Tempio delle Scimmie.

E’ ormai pomeriggio quando ci trasferiamo nella confusione del quartiere di Chawk dove si tiene il mercato più caratteristico della città. Impossibile descriverne il caos di pedoni, biciclette, vacche, tuk-tuk e macchine che circolano senza nessuna regola di precedenza o stop, tra l’assordante e continuo suono dei clacson. Vediamo, addirittura un semaforo umano! Troviamo un po’ di quiete in uno dei tanti laboratori di tessitura della seta, per cui Varanasi è famosa in tutto il mondo. Un foulard di seta di Varanasi deve essere assolutamente acquistato e proprio qui, tra le preziose sete di una di queste fabbriche, ai cui telai lavorano per lo più bambini. Ne prendiamo uno a testa in ricordo della nostra visita, ma cos'è un foulard, per quanto bello, è nulla a paragone dei tanti ricordi che lascia questa città santa ed eterna.

Ogni indù che si professa tale deve, almeno una volta nella vita, compiere un viaggio di pellegrinaggio a Varanasi, ma lo stesso, aggiungerei io, deve fare ogni viaggiatore che sceglie l’India come sua meta. Qui più che altrove, nel caleidoscopio subcontinente indiano, quanto disse Pasolini: "…un occidentale che va in INDIA ha tutto ma in realtà non dà niente. L’INDIA, invece, che non ha nulla dà tutto…" si traduce in verità.

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