"Reportage di Viaggio" è la raccolta dei viaggi organizzati da Socchi Adriano, titolare dell'agenzia CULTURE LONTANE


Isole Dahlak: Dissei e Madote

21.10.2003 17:12

Mohammed Gaas, un vecchietto di 78 anni esile, ma vispo, che porta dei grandi occhiali e cammina aiutandosi con il bastone, è - a tutti gli effetti - un’agenzia di viaggio ambulante. Come lui stesso spiega, non ha un locale specifico, con tanto di scrivania e di sedie, dove ricevere i clienti per le trattative: qualsiasi luogo va bene per organizzare un tour alle isole Dahlak. Cosi è anche per noi e così in poco meno di un’ora organizziamo la mini-crociera al tavolo del bar dell’Hotel Dahlak, compresi i permessi necessari per visitare le isole rilasciati dall’ufficio dell’Eritrean Shipping Lines. Facciamo scorte in un negozio di alimentari di Massawa Dato che i pasti, come spiegatoci da Mohammed, consisteranno in piatti di pesce, di volta in volta, pescato durante la navigazione, le spese si concentrano principalmente nell’acquisto di bottiglie d’acqua, ben 15 da un litro e mezzo, tre sprite da due litri e alcune birre.


L’indomani alle 07.30, il sambuco - la tipica imbarcazione del posto – è già nel canale antistante il nostro hotel con l’equipaggio al completo, il capitano, tre marinai e il cuoco, pronti a salpare. Il sambuco, come si legge sulla carena, si chiama Amel, ha una lunghezza di 18 metri e un albero alto una decina. Una volta a bordo issiamo la bandiera di Culture Lontane (il nome della nostra agenzia), con la speranza di incontrare altri viaggiatori affinché la possano ammirare, ma non la vedrà nessuno. I giorni trascorsi in barca saranno scanditi da un monotono alternarsi di bagni, snorkelling, pranzi e bagni, snorkelling, cene! Alla consuetudine delle giornate fanno da contraltare, però, indescrivibili emozioni. 

Delle 350 tra isole, isolotti e banchi corallini che si trovano al largo delle coste dell’Eritrea, nel mar Rosso, all’incirca all’altezza di Massawa, soltanto 200 fanno parte dell’arcipelago delle Dahlak. Anche se ufficialmente non appartengono all’arcipelago, le isole di Dissei e Madote ne fanno ufficiosamente parte in quanto si trovano nella medesima area geografica e hanno la stessa conformazione fisica.
Si parte verso il mare aperto, Massawa scompare alle nostre spalle mentre all’orizzonte, di fronte a noi, inizia a materializzarsi la sagoma dell’isola di Dissei. Il capitano non punta la prua del sambuco verso l’isola, ma più a nord, in un punto dove pare emergere un banco corallino.
Il mare sembra divertirsi a cambiare colore. Blu intenso là dove l’acqua è profonda, tonalità più chiare e verdi a ridosso della barriera corallina, quindi verde chiaro e bianco dove è profondo appena un metro. Ancoriamo in mare aperto e con il piccolo fuoribordo che trainiamo a poppa approdiamo su una piana di sabbia che vista da lontano, dall’alto del sambuco, sembra un atollo appena sotto il livello del mare. In questo luogo sperduto, in mezzo al Mar Rosso, facciamo il nostro primo bagno. L’acqua è davvero calda. Brilla, talmente è pulita e cristallina. Mai avevamo fatto un bagno in acque più belle neppure alle Maldive e ai Caraibi. Di fronte a dell’acqua tanto invitante ci lasciamo andare in un bagno senza fine. A trecentosessanta gradi solo mare, ad eccezione del piccolo motoscafo e, più lontano, del sambuco. Questo è soltanto il primo dei motivi che fanno di questo posto, del Mar Rosso, un luogo incantevole.
L’arcipelago delle isole Dahlak è, ancora, un paradiso per pochi viaggiatori, destinato prima o poi ad essere profanato da folle di turisti. Tuttavia non bisogna aspettarsi di trovare bellissime spiagge tropicali contraddistinte da rigogliose piantagioni di palme, sul modello di quelle che si vedono sui depliant patinati esposti nelle agenzie di viaggio e nemmeno esistono incantevoli resort e villaggi turistici. Dissei e Madote non sono nulla di tutto questo e un tour alle isole Dahlak richiede ancora una buona dose di spirito d’avventura. 

Prima di ormeggiare al riparo di un golfo sulla costa ovest dell’isola di Dissei, dove trascorreremo la notte, pratichiamo snorkelling presso un bel reef al largo della costa est. Pranziamo a bordo e senza aspettare la digestione ci tuffiamo per una lunga nuotata fino a riva e qui, con maschera e tubo, seguiamo una barriera corallina poco profonda fino a ritornare sul sambuco. Il reef è l’altro paradiso naturale di quest’angolo di Mar Rosso. Pesci angelo, chirurgo, pagliaccio e balestra… l’isola di Dissei ha fondali popolatissimi che ricordano il Parco Marino di Ras Mohammed, a Sharm el Sheikh, e all’isola di Giravaru, alle Maldive. Quello che davvero è sensazionale, non sono però i pesci, ma gli straordinari colori dell’incontaminata barriera corallina: alberi di corallo, anemoni di mare e madrepore ed, ancora, coralli duri e molli, spugne, gorgonie di mare, di ogni forma e dimensione, il tutto in grandi dimensioni e nei più disparati colori blu, rossi, bianchi, verdi, gialli, viola… L’eufemismo "giardini di corallo" è il più giusto per descrivere questi fondali. Non a caso il reef dell’Eritrea ospita uno dei pochi ecosistemi madreporici incontaminati di tutto il Mar Rosso. L’altra faccia dell’arcipelago delle Dahlak: "il mondo sommerso!" Se, infatti, solo tre sono le isole abitate, una delle quali proprio quella di Dissei, il mare nasconde tutto un universo.

Dissei è un’isola che non si può che raccontare iniziando con "c’era una volta" perché è ancora come era una volta. L’unico insediamento, a nord-ovest, è uno sparuto villaggio di pescatori dell’etnia Afar. La maggior parte della popolazione Afar vive nell’inospitale Dancalia, la regione costiera, a sud di Massawa. Senz’altro gli abitanti di questo villaggio non se la passano meglio. Sono gente inospitale e non sembrano avere alcuna intenzione di cambiare e aprirsi ai – pochi - turisti di passaggio. L’indomani, durante la visita si mostreranno del tutto indifferenti. Neppure i bambini, di solito disinibiti, ci correranno incontro. Soltanto alcune donne, rigorosamente coperte, s’avvicinano con l’unico scopo di venderci dei bellissimi pezzi di corallo.
Giunti nella baia dove trascorreremo la notte, facendo snorkelling, in prossimità della riva, incontriamo due piccole razze. Al calar del sole ritorniamo sul sambuco per consumare la cena, naturalmente a base di pesce. Terminato il banchetto, veniamo trasbordati sulla spiaggia dove passeremo la notte sotto le stelle. Accerchiati dal buio, lo splendore delle stelle e l’assoluto silenzio rendono il momento magico. Assistiamo quindi ad uno spettacolo davvero unico… Dirigendoci verso riva, sotto la barca saette di luce si allontanano in ogni direzione. Sembrano tante frecce di fuoco lanciate una dopo l’altra da un plotone di arcieri, o che so, tanti tentacoli luminescenti. In realtà, sono i pesci che scappano spaventati dal movimento del motoscafo. Il fenomeno si ripete quando una volta sistemato il campo per la notte ci tuffiamo in acqua, naturalmente nudi. Nel mare, ogni movimento crea una scia di luce tanto che riusciamo a vederci a molti metri di distanza per via, appunto, della fascia di luce che creiamo spostandoci. Che cos’è questo strano e curioso fenomeno per cui qualsiasi movimento fatto in mare, dai pesci e noi stessi, è riflesso con un alone di luce? Nient’altro che plancton, l’abbondante e fitta presenza di plancton nell’acqua. 

Lasciata Dissei navighiamo di gran lasco verso l’isola di Madote, un bianchissimo banco di sabbia corallina che la lontananza fa sembrare un atollo maldiviano. In realtà, l’isola non è altro che una lingua di sabbia bianca accecante e priva di ogni forma di vegetazione nel bel mezzo del mare. La mia attenzione è attirata da particolari pesci che corrono veloci, a pelo d’acqua, per una cinquantina di metri per poi riemergersi.
Buttata l’ancora raggiungiamo l’isola a nuoto. A causa delle correnti il ritorno si rivelerà assai faticoso. Un ultimo pranzo di ottimo pesce, un’ultima uscita di snorkelling ci separano, purtroppo, dalla partenza per Massawa. Quasi a voler allungare il distacco, a differenza di quanto fatto finora, siamo tutti girati a poppa, un modo forse inconscio per staccarci il più tardi possibile da questo luogo soave e sublime del mar Rosso.
Sulla via del ritorno mentre i contorni dell’isola di Madote sfumano via via nel blu assoluto del mare, penso agli illustri predecessori, ai quali devo un sentito ringraziamento. Uno su tutti Folco Quilici il cui famoso documentario "Sesto Continente", ambientato nelle isole Dahlak, mi ha fatto conoscere questo splendido e sperduto angolo del Mar Rosso, tanto da convincermi a venirci …cosa non da poco per un montanaro com’è il sottoscritto.
Le urla di Ila e Cece mi strappano dai pensieri. Due coppie di delfini ci stanno inseguendo. Sembrano scortarci: due, con il dorso grigio, alla nostra destra e due, con il dorso nero, alla nostra sinistra. Non poteva esserci addio migliore. A prua rivedo Massawa, che vista dal mare conserva intatto l’appellativo affibbiatole in passato di "perla del mar Rosso." Ammainiamo la bandiera di Culture Lontane. Il viaggio alle isole Dissei e Madote, ora, è proprio finito!

—————

Indietro