"Reportage di Viaggio" è la raccolta dei viaggi organizzati da Socchi Adriano, titolare dell'agenzia CULTURE LONTANE


Patagonia: ho visto il Cerro Torre.

05.11.2002 19:43

Dalla mitica ruta 40, imboccata 35 km dopo El Calafate, vedo per la prima volta il leggendario Cerro Torre. A dire il vero, dalla catena montuosa che si profila all’orizzonte, distinguo meglio il Fitz Roy. Le due cime, simbolo della Patagonia, sono visibili già da molto lontano. Percorrendo la ruta 40 la Cordigliera si sviluppa parallela al nostro senso di marcia e i due monti si trovano alla nostra sinistra. La giornata è bella, ma la preoccupazione rimane. Il tempo è molto variabile, spesso brutto stando alla documentazione raccolta prima di partire. Quando c’immettiamo sulla ruta 23, che costeggia il lago Viedma, cominciamo ad andare incontro ai monti e così la catena montuosa si trova proprio dinanzi a noi. Al centro spicca la grandiosa sagoma del Fitz Roy (3.405 mt.), a fianco, verso sud, la slanciata ed, appena, distinguibile punta del Cerro Torre (3.102 mt.). Dove la strada termina c’è El Chalten, il paesino base di partenza dei trekking tanto per il Torre quanto per il Fitz Roy. Arrivati in città sembra di essere finiti dentro al set di un film western. Il paese è desolato, le strade sono tutte sterrate, il vento alza turbini di polvere e fa’ rotolare secchi cespugli, e a completare il quadro vediamo due persone a cavallo, con tanto di capello da cow-boys in testa. 


Sistemati i bagagli, all’hotel Lago del Desierto, facciamo una breve sgambata fino alla cascata Chorillo del Salto tanto decantata, ma a dire il vero niente di particolare. Merita molto di più, al tramonto, uscire di qualche chilometro da El Chalten, fermare l’auto ai bordi della strada, salire su una qualunque delle tante colline e assistere al calar del sole. Osserviamo l’oscurità fasciare lentamente e interamente il paese e le montagne circostanti finchè non rimane un tenue chiarore lunare. Sopra di noi, ad ovest, brilla già la croce del sud, la quale man mano che diventa notte si fa’ più grande e più splendente. 

Rientriamo in paese compiaciuti di aver potuto ammirare per tutto il corso della giornata, prima da lontano, fin dalla ruta 40, e ora da El Chalten le nostre due eroine, ma è a domani che pensiamo e porgiamo tutte le nostre speranze. L’unico giorno utile a nostra disposizione per salire alla Laguna Torre.

Quante volte ho letto del Cervino, dell’Everest, del Kilimanjaro o del Cerro Torre montagne che hanno scritto la storia dell’alpinismo. Un mio piccolo sogno era sempre stato quello di riuscire, un giorno, a vederle tutte e salirne almeno una. Non mi pare vero di trovarmi in questo luogo sperduto che a partire dalla seconda metà degli anni cinquanta, una volta caduto l’Everest, iniziò a catturare la curiosità dei più grandi alpinisti del mondo. 

Al mito della salita intesa come altezza si sostituisce l’esaltazione delle difficoltà. Non si guarda più agli 8.000 metri, o meglio si fa’ meno di prima, ci si rivolge alle pareti verticali e quale miglior palestra della Patagonia?

La Cordigliera Patagonica, Fitz Roy in testa, inizia a rubare all’Himalaya gli amanti dell’alpinismo, rimane dietro le quinte, ma per il momento il Cerro Torre rimane dietro le quinte. Non era neppure preso in considerazione: scalarlo era reputato impossibile. Ecco quanto scriveva M. A. Azema in una sua relazione: < Il problema della scalata? Non può essere posto il problema della scalata al Cerro Torre. Anche il solo pensare ad un tentativo è cosa vana e ridicola …E’ insomma, il Cerro Torre, una cima che lascia in pace l’immaginazione degli scalatori, anche dei più appassionati, una cima vergine e inaccessibile, che non ispirerà mai che amori platonici. >

Alle difficoltà tecniche, la Patagonia, aggiungeva quelle meteorologiche, Qui l’alpinismo si è sempre scontrato con il cattivo tempo prima ancora che con le difficoltà tecniche. Il brutto tempo obbligava a lunghe e snervanti attese. Le scalate avvenivano in condizioni difficili di forte vento, nevischio, pioggia e nebbia

Tutto questo rafforzava la fama d’inaccessibilità del Cerro Torre, e le nostre paure di imbatterci in una brutta giornata. Andiamo a coricarci, ma non riusciremo a dormire se non per due o tre ore. L’attesa per la salita è snervante e alle cinque siamo tutti svegli. Sotto le coperte ascoltiamo il vento soffiare leggero. Mi alzo apro le tende e guardo il cielo, ancora scuro, ma stellato. Lasciamo El Chalten all’alba, euforici per via della bella giornata che ci attende. Il sentiero per la Laguna Torre parte subito in salita, guadagniamo quota ed usciamo così dalla conca di El Chalten per proseguire lungo un piccolo vallone che si sviluppa verso sinistra. Qui immortaliamo il Fitz Roy, velato dalla suadente luce, rosa arancione, dei primi raggi del nuovo giorno. Sarà anche l’ultima perché d'ora in avanti lo perderemo di vista, per il resto della giornata. La mulattiera serpeggia spesso in piano fino a quando c’inoltriamo in un bosco di lenga, dove riprende a salire per giungere ad un colle, dal quale possiamo ammirare la gigantesca guglia del Cerro Torre.

Una breve discesa porta nella valle del rio Fitz Roy. Il sentiero, ora, pianeggiante supera spianate di sabbia ed acquitrinosi prati verdi. Davanti a noi incombe sempre più prossimo, sempre più spaventoso il Cerro Torre. Con il passare delle ore cala anche il vento cosicché il sole si fa’ sentire e riscalda come nelle nostre vallate alpine in piena estate. All’improvviso, ci troviamo di fronte, a non più di dieci metri, una grossa femmina di condor, la quale cerca di spaventarci allargando le sue enormi ali per difendere il proprio nido. Per tutto il viaggio avevo cercato invano di fotografare uno di questi grossi avvoltoi che più d’ogni altro animale rappresentano le Ande. Avevo visto tanti condor volare, alti, in cielo, ma sempre troppo distanti per immortalarli, nonostante facessi uso del teleobiettivo. Ora mi ritrovavo, incredibile, ma vero, a tu per tu con uno di questi rapaci.

Incontriamo, quindi, un gaucho di montagna (una sorta di sherpa) e un alpinista diretti, con due cavalli carichi di provviste, al campo Bridwell, loro sì in procinto di effettuare qualche scalata.

Costeggiamo il fiume e questo ci permette di dissetarci in continuazione, fin quando incontriamo un nuovo bosco di lenga che aggiriamo e al termine del quale iniziamo a risalire un pendio sassoso che in breve conduce al crinale morenico, in cui sprofonda il lago. Sono le dieci e trenta, dopo tre ore e 350 metri di dislivello, siamo arrivati alla Laguna Torre. 

Nel lago brillano qua e là piccoli iceberg staccatesi dal ghiacciaio omonimo che scende dalla base del Torre. Il monte culmina in una gran "torre" – da cui il nome – che s’innalza verticalmente per oltre duemila metri dal piano del ghiacciaio e termina con un cappello di ghiaccio alto più di 50 metri che poggia, appunto, su questa colossale "torre". Il Cerro Torre è un pinnacolo di roccia su cui il vento ha costruito miracolose incrostazioni di ghiaccio e neve, al limite delle leggi dell’equilibrio, su cui la storia dell’alpinismo ha raccontato epiche imprese, al limite della credibilità.

Facciamo sosta in riva alla laguna per circa due ore. Passo il tempo ad osservare e fotografare il Torre. A pensare alla storia della montagna. Ai tentativi di scalata, di Bonatti e Mauri, di Maestri ed Egger, al successo di questi ultimi il 31 gennaio del 1959, ma a caro prezzo perché durante il secondo giorno di discesa Egger venne travolto da una spaventosa scarica di ghiaccio e rocce. Il suo corpo sarà ritrovato solo nel 1974. L’impresa venne messa in dubbio perché priva di documentazione e riscontri. Per zittire gli scettici Maestri ripeterà la scalata nel 1970, insieme con Claus e Alimonta, ma ancora una volta incontrò severe disapprovazioni dal mondo alpinistico poiché per piantare più velocemente i chiodi nella roccia si era servito di un compressore, metodo considerato non convenzionale dai puristi dell’alpinismo.

Ho avuto la fortuna di conoscere Cesare Maestri, in occasione di una manifestazione tenuta nella mia città, e non capisco perché il mondo alpinistico abbia messo in dubbio la sua prima scalata e tanto criticato l’uso del compressore. Cesare Maestri mi è sembrata una persona onesta, ma, soprattutto, un grandissimo alpinista. Il curriculum delle sue scalate è incredibile. Un alpinista affermato e di successo perché mai avrebbe dovuto mentire mettendo in gioco la sua reputazione?

… E poi, conquistare quei duemila metri di parete di roccia sperduta, all’altro capo del mondo, nobilitate dalla stranezza, dalla forma, dalla difficoltà e dalle avverse condizioni meteorologiche, servendosi di un compressore, per facilitarne la scalata, è un’impresa, comunque!

Il richiamo di Mavi mi risveglia dai pensieri in cui mi ero assorto …è ora di tornare. Scendendo passiamo per il campo Bridwell, punto d’appoggio per le scalate al Torre. Al centro esiste ancora la capanna Bridwell. Ripercorriamo la stessa strada dell’andata. Di tanto in tanto, mi giro per scrutare ancora il Cerro Torre. Poco alla volta, passo dopo passo, il contorno della montagna viene lentamente ammorbidito e livellato dall’aumentare della distanza. 

Sono felice; ho visto il Cerro Torre!

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