"Reportage di Viaggio" è la raccolta dei viaggi organizzati da Socchi Adriano, titolare dell'agenzia CULTURE LONTANE


Patagonia: Parque Nacional Torres del Paine.

01.11.2002 18:24

Lascio la Tierra del Fuego imbarcandomi sul traghetto che collega giornalmente l'Isla Grande con la parte più meridionale del continente americano. Trenta minuti di traversata, sullo stretto di Magellano, e sono in Patagonia. Da Punta Delgada, ci aspetta ora un lungo trasferimento fino a Puerto Natales, ma per lo meno i chilometri da percorrere sono interamente asfaltati. Lungo il tragitto, il pensiero corre…

Chissà, mi domando, se troverò quelle stesse terre avventurose che tante volte mi sono prefigurato, leggendo i libri su questi territori, in cui avvertivo la natura padrona assoluta. Intorno a me s'aprivano paesaggi unici quando, sul divano di casa mia, chiudevo gli occhi per meglio immaginarmi quanto avevo appena letto sulle magiche e selvagge terre della Patagonia. Le letture sui viaggi dei primi esploratori, insieme ai resoconti delle scalate dei grandi alpinisti, mi hanno fatto amare, fin da ragazzo, queste terre estreme. Pur senza averle mai viste e vissute, era un po' come se le avessi sempre conosciute, ma ora la Patagonia è davanti a me, sotto di me, attorno a me. La posso, finalmente esplorare, assaporare, scoprire. 
Facciamo una prima sosta all'Estancia San Gregorio, proprio sulla strada. Quella che un tempo era un vastissimo e glorioso ranch è in gran parte abbandonato ed ha l'aspetto di una città fantasma. Atmosfera cui contribuiscono i relitti delle navi incagliate sulla spiaggia: si tratta dell'Amedeo, famosa per essere la nave con cui giunsero i primi padri salesiani in questi luoghi, e dell'Ambassador, finita anch'essa ingloriosamente sulla riva settentrionale dello storico stretto di Magellano. Mettiamo ai voti l'escursione alla pinguineras del Seno (insenatura) d'Otway, che richiede una deviazione di 90 km tra andata e ritorno. Ilaria ed io la pensiamo alla stessa maniera: Di diverso avviso è Mavi, la quale ribatte che non vedremo niente di più di quanto visto a Punta Tombo, cinque giorni fa', in Argentina. Votazione: due a uno, si va alla pinguineras. Risultato: aveva ragione Mavi, la colonia di pinguini presente è infinitamente meno numerosa di quella di Punta Tombo. Arriviamo a Puerto Natales alle ultime luci del giorno, in tempo per assistere ad uno spettacolare tramonto sul Seno Ultima Esperanza con la mente già proiettata a domani, al Parque Nacional Torres del Paine, una delle principali attrazioni di tutta la Patagonia.
Al mattino, dopo un'occhiata ai cigni dal collo nero, caratteristici della regione, siamo diretti alla Guarderia Laguna Azul, l'entrata più a nord del parco. Il cielo è grigio e cupo, piove e c'è un po' di nebbia. Non mi resta che confidare in uno dei tanti e repentini cambiamenti meteorologici che caratterizzano la Patagonia. La strada ritorna ad essere sterrata, appena fuori Puerto Natales. Una breve sosta alla Cueva del Milodon e proseguiamo diritti per Cerro Castillo. Percorriamo un tratto di strada recintato su ambo i lati da del filo spinato, sul quale sono affissi dei minacciosi cartelli: < ¡Peligro Campo Minado! > che ricordano vecchie ostilità tra Cile e Argentina. Le braccia s'irrigidiscono e diminuisco la velocità al pensiero di poter finire per qualsiasi motivo fuori strada. Il tempo, intanto, migliora e ci ritroviamo nel parco senza neanche accorgercene. Una cinquantina di guanaco, che spaventati dal nostro arrivo scappano tagliandoci letteralmente la strada, ci danno il benvenuto al Paine. Alla Laguna Azul aspettiamo più di un'ora con la speranza che il vento spazzi via gli ultimi corpi nuvolosi che sostano proprio sulle Torri del Paine. La giornata va decisamente rasserenandosi. Il vento soffia sempre più forte e conseguentemente libera il cielo dalle nuvole, quindi attendiamo di potere ritrarre le tre granitiche e rinomate torri che si specchiano nelle terse acque della laguna. Invano! Unico risultato è quello di essere improvvisamente investiti da una vera e propria secchiata d'acqua, alzata dall'impetuoso vento. Saremo premiati al belvedere della grande cascata del Rio Paine, e poco importa se qui, le tre cime, non si specchiano in alcun lago. La vista è, comunque, superba.
Alla Guarderia Laguna Amarga diamo un passaggio a Francisca, una giovane ragazza di Santiago del Cile che lavora nel parco durante la stagione estiva. Come spesso succede in queste circostanze, il colloquio verte sull'ottenere informazioni dei rispettivi paesi. Non c'è bisogno di parlare l'inglese, Francisca si fa' capire parlando lentamente lo spagnolo. Il paesaggio è fiabesco. Nella cornice dell'imponente massiccio del Paine, la strada sembra aprirsi sospesa sopra un regno incantato, con spettacolari e repentini saliscendi, tra laghi di svariato colore, ora argento e verde, ora azzurro e blu. In certi tratti la strada fa' da ponte naturale da una sponda all'altra e sembra quasi di tuffarsi con l'auto nell'acqua per poi riemergere sulla riva opposta. Il verde è di mille tonalità, tutte brillanti. Sembra di essere nel giardino dell'Eden. Gli stop sono continui. Non si riesce proprio a fare a meno di fermarsi, per immortalare i vari panorami. Scende anche Francisca, nonostante debba essere abituata. Mi trattengo dal domandarle come mai. …Non ci si stanca mai di osservare paesaggi che sono autentiche opere del creato. Alla fine del pomeriggio raggiungiamo la posada Rio Serrano, la cui hall pare una sala da tè d'altri tempi, un ambiente pseudo-nobiliare, che contrasta con le semplici camere scaldate con delle stufe a legna. Dopo cena andiamo a vedere il tramonto sul Lago Pehoe. La strada, ora con l'approssimarsi delle ombre della notte, è attraversata da scattanti e agili capibara, le lepri della Patagonia. Davanti alla catena montuosa del Paine, delicatamente tinteggiata di rosa che risalta scolpita nel cielo come una formidabile fortezza merlata di torri, di pinnacoli, di corna mostruose, resto senza parole. Il freddo si fa' pungente e ci costringe a rientrare. Prima di coricarci, però, facciamo provvista di legna, per alimentare la stufa durante la notte, e c'intratteniamo a parlare con il gestore. Comodamente seduti intorno al camino che scalda e anche profuma piacevolmente la stanza, senza televisione, ne radio, lontani dal mondo, in mezzo alla natura, soli con noi stessi ed i nostri discorsi, mi sento sereno come poche altre volte nella vita.
L'indomani è dedicato al lago Grey. Dopo aver percorso una ventina di chilometri giungiamo al lussuoso hotel dove si prendono le prenotazioni per l'escursione. Da qui intravediamo già degli iceberg staccatisi dall'omonimo ghiacciaio, che il vento spinge sino a riva. Proprio questi piccoli iceberg impediscono all'imbarcazione che ci condurrà fino al fronte del ghiacciaio di avvicinarsi, perciò è con un piccolo gommone che avviene il trasferimento dalla riva allo scafo. Risalendo il lago non incontriamo nessun iceberg, questi sono tutti concentrati nelle immediate vicinanze del ghiacciaio o della riva. Quando si spengono i motori, usciamo in coperta e ci troviamo davanti all'intero fronte del ghiacciaio e al nunatak, il piccolo isolotto roccioso che lo divide e per cui il ghiacciaio Grey è famoso. L'altezza del fronte di ghiaccio non è elevata, ma proprio per questo riusciamo ad avvicinarci fin quasi a sfiorarlo. Così vicino, non si può non essere attraversati da continui fiotti di adrenalina, anche se l'osservazione dei pinnacoli, dei crepacci e degli innumerevoli colori è più che sufficiente a distrarre. Passa un'ora quando la nave riprende la via del ritorno, ma sembra siano passati appena cinque minuti tanto è stato l'incanto. A tutti viene offerto pisco sur con ghiaccio, ghiaccio naturalmente raccolto nelle gelide acque del lago. Lungo la strada che costeggia il Lago Sarmiento ci fermiamo a dare un ultimo omaggio al Paine, una sorta d'addio. E' triste separarsi da quel incredibile affastellamento di vette vertiginose che si perdono ormai sullo sfondo come tanti coltelli conficcati tra le nuvole.
. sussurro tra me e me prima di voltarmi. Il vento d'improvviso si placca. Interpreto la cosa come un segnale, una risposta al mio riverente saluto. Trovo l'attimo per voltare le spalle alle montagne e risalire in auto. Nessuno parla. Credo che, come me, Mavi e Ila abbiano conosciuto il posto in cui trascorrerebbero volentieri il resto della vita.

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