"Reportage di Viaggio" è la raccolta dei viaggi organizzati da Socchi Adriano, titolare dell'agenzia CULTURE LONTANE


Patagonia: Punta Tombo e la penisola di Valdes

26.10.2002 18:54

Lasciamo l’autunno piemontese quando ormai gli alberi si spogliano delle foglie e ci ritroviamo, dopo ventun ore di volo e tre cambi d’aereo, a Trelew, nel bel pieno della primavera patagonica. 


L’impressione, però, non è quella di essere arrivati in Patagonia. Il sole splende alto in cielo, fa’ caldo e non c’è un fil di vento. Siamo, infatti, ad appena 1.500 chilometri a sud di Buenos Aires, come si suol dire, alle porte della Patagonia. Siamo qui, dove incomincia la Patagonia, per vedere la fauna marina di due importanti riserve naturali, la Reserva Natural de Punta Tombo e dell’Area Protegida Provincial della Península de Valdés. Vivremo gli ambienti dei grandi paesaggi montani e dei maestosi ghiacciai, le atmosfere del clima inospitale, per cui la Patagonia è famosa, in seguito, nel corso del nostro viaggio.

Ritirata l’auto presa a noleggio, dall’aeroporto partiamo immediatamente alla volta della riserva di Punta Tombo. Nonostante la stanchezza accumulata dalle tante ore di volo non tralasciamo la visita alla colonia di pinguini più numerosa della terra! Decisione, questa, che avevamo preso fin dalla programmazione del viaggio, consci che avremo passato una giornata lunga e faticosa, ma non potevamo proprio perderci la celebre pinguineria. 

I tempi sono strettissimi! Infatti, sono le quattro e mezza del pomeriggio e la riserva chiude al tramonto, intorno alle otto. Inoltre, dobbiamo percorrere 120 chilometri di strada sterrata per raggiungerla. Come se tutto questo non bastasse, pochi chilometri dopo aver imboccato la ruta provincial 1, buchiamo. Restiamo per qualche minuto incerti sul da farsi. Ritorniamo o proseguiamo? Se continuiamo contravveniamo ad una regola cui non si deve mai disobbedire viaggiando sulle strade della Patagonia, ossia mai azzardarsi senza una ruota di scorta. Questo per almeno tre ragioni: l’alta percentuale di forature procurate dalle brutte strade, le lunghe distanze che separano un centro abitato dall’altro e la scarsa densità demografica.

Beh, se non avevamo ancora ritrovato gli ambienti patagonici senza dubbio stavamo già vivendo lo spirito di un viaggio in queste terre: gli imprevisti e l’avventura. Dopo l’indecisione iniziale, sostituiamo la ruota e violiamo la regola: proseguiamo diritti verso Punta Tombo! 

Sono le diciannove in punto quando entriamo nella riserva. Inizialmente rimaniamo delusi perché mentalmente associavamo l’immagine dei pinguini all’acqua, al freddo e al ghiaccio, ebbene nulla di tutto questo è Punta Tombo. Sì, c’è, naturalmente, il mare, ma vediamo un solo pinguino in acqua, diversamente il paesaggio è arido, fatto di rocce e cespugli spinosi, ma proprio in mezzo a quest’inaspettato ambiente si trovano migliaia di pinguini di Magellano. L’immagine che li accompagna, almeno questa, di uccelli buffi e curiosi, è fedele. 

Essendo la stagione degli amori i maschi stanno davanti alle tane da loro stessi scavate sotto i cespugli, nella terra, mettendo in bella mostra il loro petto bianco. All’interno ci sono le femmine che covano le uova deposte qualche settimana fa’. L’area della riserva è grande e i pinguini sono tantissimi e sparsi ovunque. Indimenticabile sarà il ricordo dei loro echeggi, qualcosa a metà strada tra il raglio dell’asino e il grugnito del maiale.

Prima di ritornare a Trelew chiediamo all’addetto della biglietteria se è possibile riparare la ruota, ci risponde che il gommista lo troveremo in città. Non ci resta che incrociare le dita. Nel frattempo si è fatto buio. Dopo due ore e mezza di strada sterrata ed isolata, avvolti dal buio della notte, senza nessuna luce all’orizzonte se non quella dei fari della nostra auto, arriviamo, finalmente, a Trelew. Ci sistemiamo nel primo albergo che troviamo e andiamo a mangiare. Sono le undici di sera di questo primo inteminabile giorno.

Il mattino seguente è domenica, giorno festivo, quindi abbiamo difficoltà a trovare un gommista aperto che ci ripari la ruota, ma a forza di cercare lo troviamo. Con una nuova ruota di scorta partiamo più sereni per la Penisola di Valdés, sperando di essere un po’ più fortunati e lo saremo perché non bucheremo più per tutto il viaggio.

A Puerto Madryn, perdiamo tempo poiché non riusciamo a trovare la deviazione per la ruta 42. Su questa strada, che si snoda lungo la costa, dopo 15 km, s’affaccia la spiaggia del Doraddillo, da dove si possono vedere le balene a soli 30 metri dalla riva. Rimaniamo delusi. Pur tenendo gli occhi ben sgranati verso il mare non avvistiamo alcun cetaceo. Stufi di aspettare proseguiamo verso la nostra meta, fiduciosi di poter ammirare le balene a Puerto Piramide. Quando riprendiamo l’asfalto siamo al raccordo con la ruta provincial 2, ancora 40 km ed entreremo nella riserva marina di Valdés. Sull’istmo Ameghino la strada corre in mezzo all’oceano. Alla fine dell’asfalto ecco profilarsi Puerto Piramide. Da qui hanno inizio le immense emozioni che proveremo al contatto con la vita oceanica di questi straordinari posti. Il rifugio offerto da spiagge ed insenature attira una gran quantità di mammiferi marini senza pari nel mondo, il tutto concentrato in questa zona limitata, denominata, appunto, Penisola di Valdés, non a caso riconosciuta dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. Puerto Piramide è incantevole protetta com’è dalla bella baia e nascosta da alte falesie.

Arrivati sulla spiaggia c’informiamo sulle escursioni di whale watching, le gite in barca per osservare le balene. Non badiamo al prezzo, tra l’altro uguale per tutte le agenzie, ma all’orario di partenza. Così dieci minuti dopo salpiamo verso il mare aperto. Per via del fondale basso un trattore trascina l’imbarcazione fin dove l’acqua diventa sufficientemente profonda affinché galleggi. 

Giunti al largo, lucide schiene nere, emergono rompendo la superficie del mare. Si tratta di tre balene, che sembrano giocare, proprio intorno alla nostra barca. Le balene compiono le loro evoluzioni a pochissima distanza da noi. E’ un incontro incredibile. Le stesse scene si ripetono quando si materializzano davanti all’imbarcazione altre due balene che sembrano ancora più estroverse delle prime. Queste ultime mostrano per intero la loro suadente coda e passano ripetutamente sotto lo scafo, a volte emergono dall’acqua con la testa, rivelando la caratteristica che contraddistingue le balene franche australi, in altre parole le callosità biancastre che hanno sul capo. Ad un certo punto, in lontananza, vediamo il classico sbuffo della balena, subito il timoniere si dirige in quella direzione. E’ una balena con il suo piccolo. Inseguendoli con la barca, ad un certo punto, assistiamo ad una scena commovente: la mamma emerge quasi completamente in superficie con sopra il cucciolo. Dall’imbarcazione si leva un’esclamazione di meraviglia, persino Mavi, dai giudizi sempre parsimoniosi, è elettrizzata dallo spettacolare avvenimento e si lascia sfuggire un commento smodato: beh, è valsa la pena venir fin qua quaggiù. 

L’unico aspetto negativo, almeno per me ed Ilaria, è il mare mosso, accentuato dalle onde anomale procurate dalle balene, che fanno dondolare la piccola imbarcazione. Lo stesso trattore che ci aveva trascinato in mare ci aspetta in mezzo all’acqua per riportarci a riva.

Per ovviare al senso di malessere e nausea procuratoci durante l’escursione consumiamo un frugale pranzo in un bar. Un empanada e una coca cola, saranno sufficienti a ristabilirci. Partiamo per il tour della penisola.

Sulla sterrata per il faro di Punta Delgada appaiono in successione la Salina Grande e la Salina Chica. In entrambi questi bacini salati, che colpiscono per la curiosa colorazione rossa che contrasta con il verde circostante, vediamo grossi uccelli volare radenti all’acqua.

Al parcheggio di Punta Delgada incontriamo una coppia di turisti con i quali ci scambiamo reciproche informazioni sui rispettivi viaggi. Dato che costoro stanno eseguendo il giro della Penisola di Valdés esattamente al contrario di quanto stiamo facendo noi ci consigliano di non scendere fino alla spiaggia di Punta Delgada. Così fidandoci dei loro suggerimenti, puntiamo su Punta Cantor e Caleta Valdés.

Prima di arrivare a Punta Cantor, lungo la strada che corre alta sulle falesie, e solo di tanto in tanto fa intravedere il mare, ci assale il desiderio di fermarci e sporgerci dall’alto per ammirare il panorama. Quello che vediamo è sensazionale: centinaia di leoni ed elefanti marini stesi al sole sulla spiaggia. Lo spettacolo è struggente.

A Punta Cantor riusciamo a scendere, lungo un sentiero, quasi sulla spiaggia, per osservare da vicino quanto veduto precedentemente dall’alto. La mole degli elefanti marini maschi è paurosa. Sono dei bestioni di tutto rispetto! Sono tre, quattro volte più grandi delle femmine e dei leoni marini. Qua e là se ne vedono alcuni trascinarsi faticosamente, altri emettere dei muggiti selvaggi.

Infine, a Caletta Valdés, troviamo ancora spiagge affollate da colonie di mammiferi marini. Qui i nostri sguardi sono attirati da due orche marine che nuotano nell’acqua, non lontano da riva. Le accompagniamo con i nostri sguardi finchè non si dileguano nello sconfinato oceano.

Il periplo della penisola prevederebbe ora Punta Norte, ma, ormai, siamo ampiamente appagati dalle tante specie viste, oltretutto tra poco il sole tramonterà, decidiamo così di ritornare. Prendiamo l’unica strada che divide in due la penisola, passando per l’interno. Tagliamo, perciò, il circuito ad anello per rientrare a Puerto Piramide, dove trascorreremo la notte. 

Il giorno dopo ci aspetta una levataccia. Vogliamo ancora visitare il museo paleontologico E. Feruglio, di Trelew, che conserva una splendida raccolta di reperti fossili, compresi interi scheletri di dinosauri, scoperti nella regione.

Lasciamo la Peninsula de Valdés non senza malinconia, dall’alto delle falesie vediamo per l’ultima volta le balene compiere le loro acrobatiche evoluzioni. Ammirare questi animali, nel loro habitat, è stata un’esperienza meravigliosa, unica... credo irripetibile.

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