"Reportage di Viaggio" è la raccolta dei viaggi organizzati da Socchi Adriano, titolare dell'agenzia CULTURE LONTANE


Adam's Peack: la montagna sacra

12.03.2003 23:32

"…dovete sapere come […] nell'isola di Seilla vi sia una grande montagna, con il monumento d'Adam nostro padre. Il quale essendosi acconciato a vivere quassù, vi lasciò poi le proprie spoglie, tanto che furono trovati li denti suoi e la scodella dov'elli mangiava…" - 

Con queste parole Marco Polo descriveva il Picco di Adamo. Lo scrittore inglese Stills, addirittura, definì la cima: < la più vasta e venerata cattedrale della razza umana >. Io ne avevo sentito parlare per la prima volta ad un seminario universitario sulla letteratura di viaggio perché tra i libri da studiare c'era proprio "Il Milione". Alcuni amici viaggiatori mi avevano raccontato, poi, di questo singolare luogo dove ogni anno migliaia di fedeli cristiani, mussulmani, induisti e buddhisti si riversano in pellegrinaggio. Infine, avevo letto libri nei quali si descriveva come i pellegrini rischiavano la morte, pur di arrivare sulla cima e assicurarsi il beneficio del voto e di quanti la trovavano lungo il cammino per la fatica o il freddo. Nacque così in me l'irrefrenabile desiderio di riuscire a salire, un giorno, su questa singolare vetta e vivere l'atmosfera del suo mistico pellegrinaggio.
Il 12 marzo del 2003, finalmente, dopo tanti anni, mi ritrovo, non per caso, a Dalhouise, base di partenza della scalata per lo Sri Pada (nome singalese della montagna). Non appena messo piede sull'isola, come un mio illustre predecessore, il famoso viaggiatore Ibn Battuta, l'unico mio desiderio era salirvi. Non mi sembra vero, quindi, di essere proprio alle sue pendici. Osservo incantato la cima, la esamino e la scruto, da circa 1.000 metri più in basso, comodamente seduto sotto la tettoia di un fatiscente bar che s'affaccia sull'unica strada che attraversa il piccolo paese. Sono, insieme ai miei compagni di viaggio, in trepida attesa che smetta di diluviare! Sono preoccupato perché l'ascensione è a rischio. Come al solito, ho lo spirito del viaggiatore, ma non il tempo e domani si deve ripartire secondo il rigido programma di viaggio. Dopo una vana attesa di circa due ore la pioggia continua a cadere. Non c'è più tempo per tergiversare: o si parte adesso o si rinuncia alla salita. Parto insieme a Mavi l'unica convinta a seguirmi. Motivazione: chissà se mai, un giorno, ritorneremo in Sri Lanka?. Cece ed Ila rinunciano, preferendo approfittare del cattivo tempo per riposarsi dai ritmi faticosi, fin qui tenuti, del viaggio.
In scomoda compagnia della pioggia, l'escursione incomincia lungo una carrareccia occupata, su ambo i lati, per circa un chilometro, da negozi che vendono per lo più generi di conforto per i pellegrini: dalle coperte agli impermeabili, dalle torce elettriche agli oggetti votivi. Inizialmente non incontriamo quelle folle di pellegrini di cui parlano le relazioni dei cronisti. Niente fa' presagire ad alcunché di esotico, eppure ci sono file e file di bus e minibus parcheggiate nel piazzale, che avevo notato per via di strani fasci d'erba posati sui parabrezza. Secondo una superstizione locale così facendo si renderebbe il proprio veicolo immune da incidenti. Curiosità a parte, dove son finiti tutti?
Dopo una quindicina di minuti incontriamo un monaco buddhista, con cui ci accompagneremo per una buona mezzora. Si dice sorpreso nel vedere due occidentali avventurarsi sotto la pioggia. In questo tratto, il sentiero, in ottimo stato sale in maniera quasi impercettibile e di tanto in tanto s'immerge letteralmente nei campi di tè. Da qui in avanti incontreremo, man mano che ci avvicineremo alla cima, un sempre maggiore numero di persone. Ecco spiegato l'interrogativo di prima. Il percorso è così lungo che i pellegrini si distribuiscono uniformemente lungo tutto il cammino. Sono affollati, invece, gli ambalama, i luoghi di riposo costruiti lungo la via per dare ricovero ai pellegrini. Il primo lo troviamo presso il dagoba Japan-Sri Lanka Friendship. Questi posti tappa assomigliano a piccoli villaggi dove oltre ai dormitori vi sono dei negozietti, sempre aperti, che vendono di tutto e piccoli chioschi nei quali è possibile rifocillarsi. A circa metà strada, il percorso diventa più impegnativo e faticoso perché si trasforma in una continua e ripida rampa di scalini. Tra l'altro i gradini sono irregolari per altezza ed ampiezza la cosa spezza ulteriormente il passo. Se poi aggiungiamo che sono consumati dal passaggio di milioni di persone e resi scivolosi dalla pioggia è gioco forza raggiungere la cima se non stremati per lo meno stanchi. Il tratto più impervio s'incontra quando il sentiero di scalini (circa 3.500) s'inerpica in mezzo alla foresta. L'umidità diventa insopportabile! Inutile anche trovare sostegno nei cartelloni che, lungo tutta la salita, scandiscono l'avanzare degradando fino al numero zero perché raggiunto l'ultimo non si è affatto arrivati, ma si continua ancora a salire. L'arrivo è segnalato dalla fine dei gradini, quando ti trovi in vetta, sul piccolo pianoro che ospita il sacro tempio. In cima fa' freddo, nel frattempo, però, ha smesso di piovere. Una fitta nebbia e il buio della notte ci avvolgono in una sorta di girone dantesco. Rendiamo omaggio all'orma sacra, appartenga, a chi che sia, ad Adamo, al Buddha, a San Tommaso o a Shiva, non importa, siamo avvolti in un misticismo quasi palpabile. Purtroppo, a causa del tempo, non potremo apprezzare lo straordinario panorama che altrimenti si godrebbe dalla cima. Vediamo alcuni pellegrini toccare una campana. Cerchiamo di fare lo stesso pensando a un segno di riverenza, ma il guardiano del tempio ci ferma spiegandoci che soltanto chi è già stato sulla vetta ha diritto a farla suonare. - Beh, sarà per la prossima volta, chissà…? - Non ci resta che fare un ultimo giro intorno alla roccia e prepararci alla discesa, non prima però di esserci massaggiati le ginocchia doloranti, per via della moltitudine di scalini saliti. Sulla via del ritorno, in più punti, siamo costretti ad utilizzare le torce portate da casa. I pali della luce situati lungo il tragitto sono a volte così distanti, che senza pile si camminerebbe letteralmente al buio. Colpisce a dispetto dell'ora e del brutto tempo, il flusso inarrestabile di gente, giovani e vecchi, che continua imperterrita a salire dal fondovalle. Incontriamo tre donne anziane che avevamo superato all'andata le quali, riconoscendoci, ci chiedono quanto manca alla vetta. Quasi tutti salgono con addosso pesanti coperte per proteggersi dal freddo, tanto che sembra di vedere una processione di figure fiabesche. Terminato il tratto più accidentato, ossia quello degli scalini, ci fermiamo a riposare e mangiare qualcosa in un ristorantino. Sediamo accanto a tre monache buddiste e ordiniamo una sorta di piadina bolognese, molto buona, e una Coca Cola. Sobbalzo dalla sorpresa nel sentire alla radio del negoziante una canzone dei Gautam Gupia, di cui mi ero comprato una musicassetta quattro anni prima in India. Ripartiamo per Dalhouise dove Cece e Ila ci stanno aspettando alla Yellow House. Il cammino è ora ben illuminato. Le tenebre della notte insieme alla noiosa nenia religiosa diffusa dagli altoparlanti, sistemati sul percorso, rendono il finire del pellegrinaggio più che mai emozionante. Girandoci indietro, guardando verso la vetta, il sentiero sembra la colata lavica di un vulcano in eruzione. Quando siamo ormai arrivati incontriamo diversi giovani salire, tutti insieme. Hanno l'aria di essere dei gruppi in gita parrocchiale e, meravigliati di vedere scendere due occidentali dal Picco d'Adamo, danno sfogo alla curiosità sommergendoci di domande.
… La gente … Ne parlo alla fine perché i pellegrini costituiscono l'aspetto più straordinario della salita al Picco d'Adamo. Gli incontri che si fanno durante l'ascesa sono numerosi e stupefacenti. Si cammina fianco, fianco coi pellegrini e il fatto di condividere la fatica crea una sincera solidarietà, indipendentemente dalla razza e dal credo. Abbiamo incontrato giovani aitanti, vecchi ansimanti, persone salire cantando, altre pregando. Molti erano a piedi nudi, alcuni erano malati o addirittura moribondi, portati in spalla, distesi sopra una lettiga, da cordate di giovani. Qua e là, capannelli di pellegrini stavano seduti a riposare, molti dormendo sopra le panche dei dormitori. Per tutta la salita è stata tangibile la sensazione di andare a visitare qualcosa di sacro, di vivere qualcosa di ascetico. Tutti salutavano, anche solo un cenno, un po' come da noi in montagna quando ci s'incontra sui sentieri. 
La salita all'Adam's Peack che raggiunge la ragguardevole altezza, per essere in Sri Lanka, di 2.243 metri, costituisce una strana impresa alpinistica. L'esperienza vissuta rappresenta un viaggio nel viaggio. Il Picco d'Adamo è una meta insolita, in uno Sri Lanka diverso da quello delle pianure del triangolo storico - culturale, della zona collinare delle piantagioni di tè e delle coste del mare tropicale, un vero "mondo a parte."

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