"Reportage di Viaggio" è la raccolta dei viaggi organizzati da Socchi Adriano, titolare dell'agenzia CULTURE LONTANE


Antartide La penisola Antartica

25.11.2009 18:30

Confinato in fondo al mondo, al di là di un oceano tempestoso, esiste un meraviglioso continente ricoperto dai ghiacci: l’Antartide.
Ho cominciato a sentire un fascino irresistibile verso questo luogo sperduto leggendo i libri delle avventurose e drammatiche spedizioni di temerari esploratori come Amundsen, Scott e Shackleton.
Il sogno è diventato realtà il giorno 21 novembre 2009 quando da Half Monn Island, dall’altra parte del mondo rispetto a Bra, dove vivo, il rompighiaccio Fram, su cui sono imbarcato, salpa alla volta dell’Antartide.
Questa è la relazione di quel viaggio.

21novembre 2009. Half Moon Island (Shetland del Sud) 62° 34 s 59° 52 w
Finalmente, terminata la traversata di quasi due giorni del passaggio di Drake, eccoci alle Shetland del Sud a calpestare l’agognata terra. Il cielo continua ad essere grigio e nebbioso come lo è stato per l’intera navigazione. Qui è prevista la prima di altre otto discese a terra. Ogni volta le procedure di sbarco saranno le medesime e sempre interminabili, un po’ per l’eccitazione di uscire in escursione ma, anche e soprattutto, per le procedure a cui si deve sottostare a partire dall’armamentario della vestizione. Due paia di calze, pantaloni impermeabili, canottiera di lana, camicia, pile, giubbotto da sci, guanti, sciarpa, cuffia, per finire con il parka e il salvagente. Nello spogliatoio della stiva si lasciano le proprie scarpe per calzare degli stivali messi a disposizione dall’equipaggio. Zaini e borse fotografiche vengono scrupolosamente depurate da piccoli aspira batteri. Si fa’ passare quindi la propria tessera magnetica sullo screensaver di un computer per registrare l’avvenuta discesa a terra. Si inzuppano gli stivali in una sorta di tappeto di gommapiuma per disinfettarli e infine s’attraversa una doccia antibatterica che bagna dal ginocchio in giù. A questo punto, in conclusione, si sale su un gommone rosso, lo Zodiac, che fa’ da spola fra la nave e la terra.
Ad Half Moon Island si sosta innanzitutto per spezzare le tante ore di navigazione e per visitare la numerosa colonia di pinguini antartici (chinstrap), che si contraddistinguono per via di una sottile linea di piume nere che va dal mento alla sommità della testa. Vicino alla colonia giace immobile, come morta, la prima di numerose foche che vedremo lungo tutto il viaggio, si tratta di una foca da pelliccia, specie che ha rischiato l’estinzione a causa della sua pregiata pelle. Le condizioni ambientali iniziano a somigliare a quelle antartiche avvistiamo pure i primi, seppur piccoli, iceberg. D’ora in avanti il mio sguardo sarà costantemente rivolto verso l’esterno a scrutare l’orizzonte impaziente di vedere i primi paesaggi antartici o scorgere i primi iceberg tabulari preannuncio della Terra di Graham.
Domani sarà il grande girono!
Non voglio e, al tempo stesso, non riesco a dormire. Nei lunghi giorni dell’estate australe l’oscurità della notte non riesce ad impossessarsi del tutto della luce del giorno. Il sole tramonta alle 22.35 e sorge alle 03.20.

Sdraiato, comodamente sul letto della mia cabina, con il libro in mano Endurance: l’incredibile viaggio di Shacketon al Polo Sud penso… Penso a come sono cambiati i tempi a quasi 100 anni dalla conquista del Polo Sud e medito sull’inserzione utilizzata dal grande esploratore per reclutare uomini per la sua spedizione. «Cercasi uomini: per una spedizione azzardata. Bassa paga, freddo pungente, lunghi mesi nella più completa oscurità, pericolo costante, nessuna garanzia di ritorno. Onori e riconoscimenti in caso di successo». Andarci a quei tempi, effettivamente, significava partire per la luna. Quali misteriosi desideri hanno spinto l'uomo ad intraprendere imprese al limite dell’impossibile? Vere odissee tra ghiacci eterni e ostili che hanno messo in risalto il coraggio degli uomini di fronte ai pericoli e alle avversità.
Oggi il viaggio in Antartide, su un rompighiaccio, non offre i rischi e le vicissitudini di quei tempi. Per non restare delusi bisogna approcciare questo tipo di esperienza nella posizione di turista più che di viaggiatore. Visto dalla nave, l’Antartide non sembra affatto un luogo estremo, desolante, proibito e impossibile come è stato ed è per gli esploratori. Per i turisti, all’interno del caldo tepore della propria cabina o dalla succulenta sala ristorante, l’Antartide appare una terra domata tanto più per gli splendidi panorami che la penisola antartica può vantare.
Si tratta di un viaggio di paesaggi!
Ho passato molto tempo in coperta a fotografare, indifferente alla temperatura e al vento, un determinato colore del ghiaccio, la forma strana di un iceberg o cogliere una particolare luce del giorno finché il freddo non mi costringeva a rientrare, tempo di riscaldarmi, e subito ritornavo sul ponte con la macchina fotografica a tracolla.

22 novembre 2009. Cuverville Island 63°19 s 56°45 w
Nei pressi di Cuverville Island il continente antartico si svela ai nostri occhi. All’improvviso la nebbia che ci ha accompagnato per tutto il tragitto si leva e un bellissimo sole fa capolino alla nostra prima giornata in Antartide. Siamo nello stretto di Gerlache che porta il nome del comandante Adrien de Gerlache primo ad attraversare, nel gennaio del 1898, con la nave Belgica, questo tratto di mare.
La Terra di Graham è una coltre bianca e candida coperta da ghiacciai che scendono fino al mare senza che si vedano rocce o macchie di altro colore all’infuori del bianco. Solo in certi punti i ghiacciai s’arrestano poco prima del mare e danno allora la possibilità alla terra di emergere creando quei pochi approdi sfruttati dalle basi scientifiche o da colonie di pinguini. Un puzzle di blocchi di ghiaccio obbligano la Fram a buttare l’ancora prima del previsto. L’isola è totalmente ricoperta di neve e già dal ponte intuiamo cosa riserva la discesa a terra. S’intravedono molte macchie nere che spiccano sull’immacolato mantello bianco. Si tratta di migliaia e migliaia di pinguini papua, facilmente identificabili per il becco rosso. Difficile stabilirne la quantità. Dalla cima della collina fino in riva al mare è un pullulare di pinguini, gli indiscussi protagonisti del paesaggio antartico. Tra le specie di uccelli esistenti sulla terra i pinguini sono quelli che più si sono adattati alla vita marina e usando un eufemismo si può dire che sono uccelli che volano nell’acqua anziché nel cielo. Emanano immediatamente simpatia per via della loro goffa camminata, traballante con le pinne natatorie aperte e in movimento, nella costante ricerca di equilibrio. Non appena possono, basta un pendio in lieve discesa, si buttano sulla pancia facendosi scivolare e aiutandosi di tanto in tanto con le zampe. Questo loro impaccio a muoversi sulla terra sparisce in acqua dove sono velocissimi. Se ne vedono molti nuotare schizzando ripetutamente dall’acqua a cavalcare le onde come i delfini. I pinguini in Antartide sono ovunque, ma a Cuverville Island si resta stupefatti. I papua sono tantissimi e il loro verso echeggia nell’aria creando un insieme armonioso con il paesaggio.

D’ora in avanti navigheremo per miglia e miglia in mezzo a scenari unici al mondo. La Fram procederà lenta, lenta quasi a volerci privilegiare e far godere di spettacoli naturali di in comparata bellezza.

Port Lockroy 64°49 s 60°30 w
Il paesaggio attorno a Port Lockroy è desolante a causa della nebbia che nel frattempo è scesa. Qui sorge una base scientifica britannica che ha operato fino al 1962 e oggi trasformata in museo. E’ uno dei luoghi più visitati dell’intero continente. All’interno c’è un negozio di souvenir in cui sono disponibili, magliette, cartoline, le patch della base e un ufficio postale dove è possibile ancora oggi spedire la posta. L’Antartide terra di esplorazioni e scoperte scientifiche è un continente che non appartiene a nessuno, dove non serve il passaporto per sbarcare, ma qui bisogna per forza averlo appresso per non perdere, un vero e proprio cimelio per i turisti, il timbro con la latitudine di Port Lockroy.
Immancabile, anche se piccola, una colonia di pinguini papua. Ne vediamo molti azzuffarsi, scambiarsi violente beccate, per difendere i propri nidi, costruiti con piccole pietre raccolte con il becco, ma molto spesso rubate al vicino, motivo per cui volano le punzecchiate. In mezzo alla colonia avvistiamo dei cormorani imperiali inconfondibili per via degli occhi blu, del tutto disinteressati alla confusione creata dai pinguini.

23 novembre 2009. Canale di Lemaire
Oggi tempo plumbeo e giornata gelida, un vento freddo deve essersi alzato nel corso della notte. Stiamo entrando nel piccolo ed angusto canale di Lemaire, stretto da un lato dal continente e dall’altro dall’isola di Booth, lungo sette miglia nautiche e largo non più di un miglio. Dall’alto della prua ben si scorge la banchisa non ancora spezzata. Il campo di ghiaccio che circonda la Fram, qua e là, è coperto da piccoli hummocks ed è abbastanza spesso da poterci camminare sopra. Alle brutte condizioni meteo ora s’aggiungono quelle del mare persino peggiori per via del mare ghiacciato. La Fram indugia fino a fermarsi, l’ostacolo sembra insormontabile. Nel frattempo sopraggiungere la Clipper Adventurer, un altro rompighiaccio, che avevamo già incrociato nei giorni precedenti. A questo punto il comandante confortato dal non trovarsi isolato in caso di soccorso, dopo un breve conciliabolo con i sotto ufficiali, affronta il pack a tutto motore, usando la spinta della nave come un cuneo. La navigazione si fa’ coraggiosa, la Fram, il cui nome è una garanzia (in norvegese significa Avanti) dopo tutto è un rompighiaccio e può navigare nel pack. Avanza a fatica, ma avanza. I rumori dello scafo contro il ghiaccio sono quanto mai funesti. A poppa la nave lascia dietro di sé una scia del suo passaggio, un solco d’acqua che rimane aperto per poco perché centro metri dopo la banchisa ritorna a chiudersi.
Liberi dalla morsa dei ghiacci riprendiamo il mare aperto. Proseguiamo il nostro itinerario verso sud. A sinistra, verso terra, una densa nebbia non permette di vedere il continente, ma poi una breve apertura consente di scoprire straordinari riflessi delle montagne nell’acqua, come se il mare fosse uno specchio.

Petermann Island 65°10 s 64°10 w
L’isola è diventata famosa grazie a Jean-Baptiste Charcot, il ”gentlemen dei poli”, come lo definì Scott, il quale con la nave Pourquoi Pas? trascorse in una baia la lunga notte polare.
Appena a terra si nota una croce su dei massi qui ubicata a commemorazione di tre alpinisti che nel 1982 non fecero mai ritorno da una spedizione sul continente antartico. Si caratterizza per la presenza di una, per noi, nuova specie di pinguini, gli Adelia (gentoo), le cui peculiarità sono gli occhi cerchiati di bianco e il becco quasi interamente rivestito di piume. Sono l’unica specie polare insieme ai pinguini imperatore. Sembra impossibile che questi esseri viventi, all’apparenza piccoli e fragili, possano resistere alle temperature polari dell’inverno antartico.

Vernadsky Station 65°15 s 63°30 w
Spesse e consistenti nuvole continuano ad avvolgere la nave durante la navigazione e ormai avvilito di non riuscire a vedere, per questa giornata, alcun ché quando la coltre di nubi si spezza e il sole sbuca tra le nuvole rivelandoci la maestosità delle montagne e dei ghiacciai che ci assediano. Imparo a conoscere il tempo di queste latitudini per lo più formato da cappe di nebbia, ma contrassegnato da veloci quanto repentini squarci di sole.
Alla stazione di Verdansky raggiungiamo il punto più a sud del nostro viaggio. Tutte le basi scientifiche oggi sono diventate una sorta di città per il turismo, punti di riferimento geografico, dato che in Antartide non esistono agglomerati urbani. La base costituita da poche case, o meglio container, appartiene allo stato ucraino, come sottolinea la bandiera giallo/azzurra appesa a un pennone. C’è un cartello segnaletico con riportata la distanza che separa Vernadsky dalle principali città del mondo. Uno scienziato della base fa’ da guida mostrandoci i vari ambienti della stazione i laboratori, la cucina, le camere da letto, la sala tv, e così di seguito, e spiega come la base, come tutte le altre del continente, deve essere autonoma e autosufficiente. Deve, per esempio, produrre elettricità propria, ricavare l’acqua, smaltire i rifiuti ecc., ecc. Ogni base adotta la sua ora. Capisco così di non essermi ingannato quando all’ingresso ho visto l’orologio segnare le 23.30 anziché le 17.30.
Vernadsky vanta una curiosa rarità un piccolo pub gestito da un barista, con tanto di bancone, completo di biliardo e freccette. Consumiamo una vodka e brindiamo alla posizione del pub davvero da guinness dei primati, credo si tratti del pub più a sud del mondo.

24 novembre 2009. Almirante Brown 64°52 s 60° 52 w
Stiamo risalendo la Terra di Graham, ora alla nostra destra rispetto il senso di marcia, la direzione è Paradise Harbour un grandioso anfiteatro che si distende proprio davanti ai nostri occhi. La base scientifica argentina qui presente prende nome dal comandante Brown, eroe nazionale e fondatore della marina militare. Attualmente la base è chiusa. Il mare è cosparso di lastroni bianchi e iceberg solo all’apparenza immobili. Meta di giornata è un belvedere che si raggiunge con una breve, ma ripida, camminata sulla collina alle spalle della base. Una volta in cima un magnifico panorama immacolato s’apre ai nostri occhi. Come ogni ambizioso traguardo che si rispetti tiriamo fuori la bandiera italiana per celebrare la nostra discesa sul continente… sì perché fino ad oggi la penisola antartica l’avevamo sempre solo veduta. Dal promontorio la Fram è piccola, sembra un modellino, un punto rosso che spicca tra il bianco del ghiaccio. Alle nostre spalle si alza imponente un ghiacciaio con crepacci che serpeggiano e lo tagliano in ogni direzione. Impressionano infine delle costruzioni, credo vecchi magazzini della stazione, ubicate proprio alla base di un possente fronte di ghiacciaio che mormora e strepita di continuo, quasi a voler mandare sinistri avvertimenti a mantenersi distanti.
Prima di salire a bordo con il gommone ci aggiriamo tra gli iceberg della baia. Iceberg dalle forme più fantasiose. Visti così da vicino si percepiscono le mille sfaccettature delle pareti e i mille colori riflessi: bianchi, grigi, verdi, azzurri e blu. Si è conquistati dalla bellezza delle forme, non c’è un iceberg uguale all’altro. Si è incantati dalla seduzione dei colori, che cambiano a seconda dell’età del ghiaccio. Sembra di essere in un museo dove la sala espositiva è il mare e le statue gli iceberg, magnifiche sculture di ghiaccio.

Neko Harbour 64°49 s 62°31 w
Neko Harbour è un’insenatura che si raggiunge addentrandosi in profondità nella penisola Antartica tanto che il mare di Weddel, dall’altro versante, dista appena 30 miglia nautiche. Quando la Fram butta l’ancora in mezzo alla baia siamo completamente accerchiati da montagne e ghiacciai. Il mare è pieno zeppo di iceberg alveolari e fauna marina. L’equipe di scienziati a bordo ha appena annunciato la possibilità di avvistare qualche balena quando in lontananza, nel bel mezzo del golfo, due orche infrangono il mare provocando una miriade di spruzzi. Le seguo con il teleobiettivo finché non spariscono dal mirino per chissà quale ignota direzione.
E’ il secondo e ultimo approdo dove possiamo scendere sul continente antartico. L’escursione prevede la salita alla punta che s’affaccia davanti ad un colossale ghiacciaio il cui fronte è un baluardo inespugnabile, largo almeno due chilometri, e la cima è una parete insormontabile, alta almeno cinque volte la Fram, su per giù un centinaio di metri. Scesi a terra, man mano che si sale, sul pendio, sbucano spaventosi crepacci. Giunti sulla sommità si possono vedere in mezzo alle profonde spaccature torri di ghiaccio in precario equilibrio e paurosi precipizi. L’insieme crea un’architettura di chissà quale estranea civiltà che altro non è quella della natura antartica. Nevica e il silenzio sarebbe totale se non fosse per i brontolii del ghiacciaio, il quale si spacca provocando rumori violenti.
Ritornati sulla spiaggia oltre ai soliti pinguini la nostra attenzione è attratta da una coppia di foche di Weddel le quali giacciono sul ghiaccio come se questo fosse un comodo materasso. E’ l’unica specie, delle sei presenti in Antartide, a viverci tutto l’anno. Non vantano solo questo record, infatti, s’immergono fino a raggiungere i 750 metri di profondità e possono rimanere senza respirare per 70 minuti.

Sono le sei del pomeriggio a Neko Harbour quando il comandante annuncia all’altoparlante la partenza non per Deception Island, come previsto dal programma, ma per Ushuaia. L’anticipato rientro è dovuto alle brutte previsioni meteo che danno cattivo tempo per i prossimi giorni sul Drake. Siamo costretti a puntare la prua verso nord senza alcun indugio. Lascio per sempre l’Antartide, pochi giorni, sì, ma d’intensissima trance paesaggistica che non trova riscontro nei miei precedenti viaggi. Resto solo sul ponte. Per l’ultima volta mi fermo ad ascoltare il rumore dell'ancora che emerge dall'acqua. La natura che mi avvolge e mi circonda sembra essere indifferente a questi miei sentimenti. Voglio imprimermi ancora ricordi: il tonfo lontano di un ghiacciaio che si spacca, il richiamo di una foca sopra un lastrone di pack alla deriva, lo sfregio di un iceberg contro la prua, il sussurro lieve ma continuo della neve che cade sul ponte della nave. Non riesco a staccarmi da una sorta di cordone ombelicale che ormai mi lega a questo universo di ghiaccio sublime e terribile allo stesso tempo.
Ho sempre sentito dire che la forza d’attrazione dell’Antartide sta nella sua inacessibilità. La mia sarà una motivazione meno esaltante, ma l’Antartide conquista perché è bello anche col brutto tempo. I giorni sono per lo più nebbiosi, le luci tetre e uggiose, i cieli drammatici e tuttavia sono avvincenti allo stesso modo di quando c’è il sole, se non di più.

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