"Reportage di Viaggio" è la raccolta dei viaggi organizzati da Socchi Adriano, titolare dell'agenzia CULTURE LONTANE


Da Walwis Bay a Cape Cross

15.02.2002 17:57

Partiamo da Sesriem e percorriamo all’incirca 290 chilometri di strada sterrata, prima di imboccare gli ultimi 12, asfaltati, preannuncio dell’arrivo sulla costa a Walwis Bay. Ancora inebriati dalle immense distese sabbiose del deserto del Namib, attraversiamo, via, via, paesaggi diversi. Superiamo due passi montani, canyons, ora lande aride e piatte abitate da struzzi e zebre, prima di incontrare, appunto, il lungo rettilineo finale, che in maniera impercettibile, ma costante, degrada verso l’oceano Atlantico.

Partiti dalle dune del Namib, dopo un susseguirsi di svariati scenari, ci ritroviamo di nuovo in mezzo a dune di sabbia. Sono quelle costiere, molto meno affascinanti, meno alte, ma pur sempre imponenti, di colore giallo, biancastro.
All’orizzonte, proprio innanzi a noi, percepiamo un’atmosfera lattiginosa di nebbia e di sabbia che non riusciamo a identificare, ma che di lì a poco vivremo. Entriamo, infatti, nel bel mezzo di una bufera di sabbia. Soffia un forte vento che fa’ alzare nell’aria una tempesta di granelli di sabbia, siamo costretti perciò a ridurre sensibilmente la velocità dell’auto poiché e come guidare in pianura padana quando c’è la nebbia. Poi, come d’incanto, usciamo da questa nuvola di sabbia e arriviamo, finalmente, a Walwis Bay. 
Essendo tardi ci affrettiamo a raggiungere la laguna a sud-ovest della città, le cui acque basse ospitano una delle più grandi colonie di fenicotteri dell’Africa australe. La riserva un po’ ci delude. In mezzo ai pochi fenicotteri, avvistiamo dei pellicani, alcuni trampolieri ed altri migratori di cui purtroppo non conosco il nome. 
Il sole è in procinto di nascondersi sotto la linea dell’orizzonte costituita dall’oceano. Non ho mai capito il perché, ma i tramonti africani hanno un non so che di grandioso. L’enorme palla gialla colora il cielo di arancione e rosso e scurisce il blu del mare in grigio, nerastro. Siamo i soli turisti ad assistere allo spettacolo dell’aurora. Risaliti sull’auto, accendiamo il motore e i fari, rompendo così l’incantesimo che si era creato, e partiamo alla volta di Swakopmund, 30 km più a nord. La strada costiera corre, delimitata dall’oceano Atlantico, da un lato, e dalle dune del deserto costiero, dall’altro. Queste ultime, alla luce del crepuscolo, assumono un colore violaceo e un aspetto misterioso. A proposito di misteri c’è una leggenda che aleggia su queste dune, si dice che nascondino il tesoro di una nave, la quale, in rotta verso l’India, s’incagliò proprio su questo tratto di costa, precisamente a Sandwich Harbour.
Giunti a Swakopmund ne rimaniamo subito colpiti. Non per la bellezza, ma per la somiglianza con un paese bavarese: case a graticcio, con tetti a mansarda. Il nostro hotel si chiama "Europa Hof" e si trova in Bismark street. Se a Windhoek c’era balenata per la testa la possibilità di essere finiti in Germania anziché in Africa, ora, qui a Swakopmund, ne abbiamo la conferma. Seppur geograficamente in Africa ci troviamo in realtà, in una sorta di enclave tedesca. Per le strade ci sono molti pub e in tutta la città esala un nauseabondo profumo di luppolo, quello stesso che emanano le fabbriche di birra. La popolazione è quasi esclusivamente bianca, sovrappeso ed albina. Ceniamo in un pub e non possiamo fare a meno di ordinare tre birre, tre ottime windhoek lager. 

Il giorno seguente la giornata si prospetta nuvolosa, come sempre d’altronde da queste parti, per via del contrasto tra l’aria fredda dell’oceano e quella calda dell’entroterra, ma intorno a metà mattinata la nebbia, di solito, sparisce per far posto a belle giornate di sole. Lasciamo l’anonima Swakopmund, che sarà pure la località di villeggiatura marina più rinomata del paese, luogo della residenza estiva del presidente della Namibia, ma proprio non riusciamo a farci piacere, e ci dirigiamo in direzione nord. Dopo soli due chilometri prendiamo uno dei due raccordi della Trans Kalahari Highway, che collegano, l’arteria stradale che attraversa il paese in tutta la sua lunghezza, con la costa. Uno di questi raccordi è quello verso Swakopmund mentre l’altro è quello verso Luderitz. Compiamo la breve deviazione, in tutto sei chilometri, per andare a vedere l’antica locomotiva Martin Luther abbandonata nel bel mezzo del deserto, proprio nel punto in cui si arrestò 
Continuiamo sempre in direzione nord, verso le prime propaggini della Skeleton Coast, siamo diretti a Cape Cross, che dista 120 km da Swakopmund. La strada è ormai, a differenza di quanto descrivono le guide in nostro possesso, quasi interamente asfaltata. Il paesaggio che ci accompagna è desolante. Questa monotonia è spezzata, di tanto in tanto, da qualche piccolo rilievo e dalla vista del mare. Il terreno è particolarmente bianco per via del sale contenuto nella terra, qua e là emergono saline, più o meno grosse, con al centro piccoli specchi dall’acqua di color rosso. Non vediamo nessun relitto arenato sul litorale, questi si trovano più a nord, ma assaporiamo appieno l'atmosfera di mistero che aleggia in questa zona di solitudine e silenzio. Sarà anche per via della nebbia onnipresente che smorza i già di per se spenti, colori bianco e grigio che la distinguono.
Eccoci, finalmente, all’ingresso della Reserve Seal di Cape Cross. La riserva è famosa perché è popolata da circa 200.000 otarie, e c’è da crederci. Pagato il biglietto varchiamo il cancello e percorriamo, sempre in macchina, gli ultimi 3 km che ci separano dalla colonia. Scesi dall’auto intuiamo lo spettacolo che di li a poco si aprirà ai nostri occhi. Sentiamo, infatti, un assordante suono che è quello emesso dalle otarie.
Quanto scorgiamo, e poi vediamo, è meraviglioso ed impressionante al tempo stesso. Le otarie sono tante, tante davvero. Sfido chiunque a non rimanere sorpreso dalla quantità di otarie ammassate in questo luogo. 
Molte sono sulla spiaggia, ma altrettante sono in mare impegnate a procurarsi da mangiare. Questa straordinaria concentrazione di questi mammiferi, nello stesso posto, è dovuta all’abbondanza di pesci trasportati fin qui dalla corrente fredda del Benguela. Camminando lungo il perimetro del muretto, che separa, i visitatori dalla spiaggia, le si può ammirare da vicino, tanto da riuscire a distinguere facilmente l’orecchio esterno che l’identifica, appunto, come appartenenti alla famiglia delle otarie. Non è necessario spostarsi, basta fermarsi in un punto e girare semplicemente la testa per vederle nei più disparati atteggiamenti del loro vivere quotidiano. La maggior parte stanno sdraiate ad oziare, ma nella quantità se ne possono vedere alcune giocare, altre lottare, le mamme allattare i propri piccoli, altre ancora urlare e, poi, non è difficile scorgerle in atteggiamenti buffi e divertenti. Fotografarle è bellissimo! Se si prosegue fin dove il muretto finisce, allora si avrà la possibilità di camminare proprio in mezzo a loro. 
Prima di lasciare Cape Cross andiamo a vedere il luogo in cui, nel lontano 1486, approdò il navigatore portoghese Diego Cão, il primo europeo a toccare le coste della Namibia. Costui celebrò l’evento issando una croce in onore del re, Giovanni II. Oggi in quello stesso punto è stata piantata una nuova croce, attorno alla quale si trovano dei blocchi di cemento disposti in modo da riprodurre la croce del sud, la costellazione che indicò a Cão la rotta da seguire.

Sulla via del ritorno, la nebbia si dirada, il sole fa’ capolino e la giornata da tetra e nebbiosa si trasforma; il cielo in un batti baleno diventa sereno e azzurro. Ci fermiamo in un bar sperduto attorno al quale s’aggirano due sciacalli. La domanda viene spontanea: < che cosa ci fa’ un bar in mezzo a questo desolato litorale? >. Alla domanda ci risponde il padrone dicendoci che nel periodo di alta stagione tutta la osta è frequentata da pescatori che provengono da tutto il mondo. Gli appassionati di pesca sono avvertiti.
Approfittiamo della gentilezza del gestore per avere informazioni sul percorso più breve da prendere per raggiungere il parco di Etosha. Costui ci ripete più volte, per assicurarsi che abbiamo capito, di girare alla prima svolta sulla nostra destra, la strada non è segnalata. Grazie alle preziose indicazioni del barista riusciamo ad imboccare la via giusta, ora proseguiamo perpendicolarmente al mare, lasciandoci alle spalle la costa. La strada è sterrata, in più punti si confonde con il paesaggio, continuano a non esserci segnali o persone, a cui chiedere informazioni, come accade tante volte in Namibia, non ci rimane che proseguire confidando nella buona sorte e in un po’ di fortuna, che di solito accompagna chi è audace.

Quanti fossero alla ricerca dell’Africa vera sconsiglio di avventurarsi in questa zona della Namibia, non perché poco attraente, ma poco appassionante dal punto di vista dell’identità del viaggio in Africa. 

La Namibia racchiude le componenti dell’intero continente africano e, nella fattispecie, lungo questo itinerario, da Walwis Bay a Cape Cross, certamente include le meno africane, ma non per questo meno interessanti.

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