"Reportage di Viaggio" è la raccolta dei viaggi organizzati da Socchi Adriano, titolare dell'agenzia CULTURE LONTANE


Esplorando l'Isla Hispaniola come dei novelli Cristoforo Colombo

05.07.2004 20:54

Già all'aeroporto di Las Americas intuiamo quale sarà il clima che ci accompagnerà per tutto il viaggio. I ventilatori nell'ufficio della Hertz girano al massimo, gli impiegati trasudano e ovunque aleggia un'insopportabile odore caldo - umido, che sa un po' di muffa e un po' di chiuso.

Dall'aeroporto imbocchiamo l'autopistas Las Americas, arteria stradale molto scorrevole che, in soli 25 chilometri, conduce direttamente a Santo Domingo. La strada è a pagamento, ma lo capiamo tardi, quando siamo ormai al casello custodito. Senza moneta locale nei portafogli superiamo la sbarra grazie alla losca presenza di un individuo, lì non a caso, il quale in cambio di 5 USD ci dà i 15 pesos necessari. Il cambio è da usuraio, ma non esisteva altra maniera per sfamare l'apposito contenitore di monete e passare.
Un secondo contrattempo l'infiliamo sbagliando l'uscita per la zona Colonial. Ci ritroviamo così immischiati nel traffico caotico del mercado Modelo. Avanziamo a passo d'uomo in mezzo ad una confusione di pedoni e a frenetici ambulanti. Motociclette, auto e camion che procedono a suon di clacson, gua gua (taxi collettivi) che si fanno strada infilandosi in ogni dove aiutati dallo sbracciarsi e dall'imprecare dei controllori dei biglietti che, così facendo, aiutano l'autista. Stanchi e dopo ben dieci ore di volo non è proprio il massimo ritrovarsi nel bel mezzo del congestionato traffico di Santo Domingo, tuttavia, alla fine, giungiamo all'hotel Palacio, una vecchia dimora coloniale oggi trasformata in un elegante albergo. 

L'indomani, partiamo di qui per visitare il "quartiere coloniale" della capitale dichiarato dall'Unesco patrimonio dell'umanità. Santo Domingo, prima capitale dell'America Latina, fu fondata nel 1496 da Bartolomeo, fratello di Cristoforo Colombo e così chiamata in onore del padre Domenico. Nel parque de Colón troviamo la statua dell'ammiraglio Colombo: impossibile, per noi italiani, non emozionarsi davanti al braccio proteso che indica idealmente la terra appena avvistata. La zona tra la fortezza di Osama e la Iglesia de las Mercedes è per certi versi rimasta autentica: vi si respira l'aria di quei tempi e la luce è ancora quella del mondo coloniale. Davanti all'Alcazar immagino i potenti di allora che al suo interno prendevano le decisioni per colonizzare il resto delle Americhe. Durante la visita incontriamo lustrascarpe e ambulanti, venditori di biglietti della lotteria e pittori naif, sono ovunque, come le pseudo guide che si offrono di continuo, tormentandoci fastidiosamente. 
Lasciamo il quartiere storico per vedere, non più a piedi ma in auto, l'altra Santo Domingo, quella del dittatore Rafael Trujillo. Visitiamo, innanzitutto, il faro Colombo (Colon) prosopopea del regime totalitario del Generalissimo. Il mausoleo dedicato al gran navigatore è tanto kitsch e megalomane da essersi guadagnato un posto d'onore tra i monumenti della città anche se, a causa della crisi, non illumina più il cielo di Santo Domingo con la caratteristica sagoma della croce latina. Vediamo, poi, l'altare della patria, il palazzo presidenziale, l'enorme statua di San Antonio e percorriamo per intero l'avenida George Washington, il malecon, che corre lungo il mare. Vediamo, credo, la più grande galleria al mondo: sui marciapiedi molti artisti espongono opere dai colori forti, caldi ed allegri, tanto che è impossibile non acquistare almeno una tela.

Lasciamo la capitale prendendo l'autopista 1, unica autostrada del paese, che collega il sud con il nord. La percorriamo per appena ottanta chilometri fino a Pietra Blanca, quanto basta per mettersi le proverbiali mani nei capelli. Sulla principale rete stradale della Repubblica Dominicana vediamo transitare ogni mezzo di locomozione e, oltre agli autotreni e alle automobili com'è ovvio aspettarsi, vediamo circolare biciclette, carri trainati da buoi e, addirittura, persone che indifferenti al pericolo avanzano sullo spartitraffico che divide le corsie dei due sensi di marcia. Sembra abbastanza finché non notiamo delle motociclette correre sulla corsia d'emergenza… ma in senso contrario!
Continuiamo il viaggio verso Nagua e la penisola di Samanà. Attraversiamo paesi di campagna tranquilli e sedentari, la cui pace è spezzata dal volume sparato al massimo delle casse antidiluviane di bar e discoteche che scandiscono le note di tutto il repertorio del merengue. La gente è cordiale e sorridente a dispetto della povertà in cui vive. A differenza di Santo Domingo, dove a causa dei secolari incroci tra i popoli venuti da lontano ci sono molti bianchi, neri e tutte le varietà del mulatto, qui le persone sono tutte di colore e sembrano più africani che caraibici. Gruppi di bambini giocano a "baseball", dei giovani a "biliardo", degli anziani a "domino", ecco i passatempi preferiti dei dominicani. In ogni paese, inoltre, esiste almeno un'arena, seppur piccola, per il combattimento dei galli. Tra le varie scene di vita quotidiana di cui siamo testimoni, colpiscono le donne in bigodini e pantofole che passeggiano sul ciglio della strada per espletare le incombenze di ogni giorno. Le case hanno colori rosa, marroni, rossi, gialli, blu ora tenui e ora sgargianti, e interrompono i verdi delle risaie, delle piantagioni di tabacco e banane. Com'è lontana Santo Domingo…
La costa nord della penisola di Samanà è un susseguirsi di mezzelune sabbiose praticamente deserte incorniciate da fitte distese di palme e un mare cristallino. Las Galeras, l'ultimo paese dell'estremità nord-occidentale, è il luogo in cui siamo diretti e costituirà il nostro punto d'appoggio per i due giorni in cui esploreremo l'intera penisola. Sulla spiaggia di Las Galeras, non sono il mare e la sabbia ad attirare la nostra attenzione quanto, piuttosto, i rustici tavoli di una spartana trattoria e l'adiacente bar rinomato per preparare ottimi cocktail. Ordiniamo un "cocoloco" e una "piñacolada". La cameriera, sudata per via del caldo, con un machete rompe i gusci di un cocco e di un ananas vi butta dentro tre cubetti di ghiaccio e un bicchiere di rhum che shakera con il succo contenuto nei rispettivi frutti, i quali fanno da bicchiere. E' tardi ed inizia a scendere qualche goccia di pioggia. Termina così la nostra seconda giornata sul suolo della Repubblica Dominicana

La strada per arrivare a playa Rincon, a soli venti chilometri da Las Galeras, è assediata da una vegetazione davvero lussureggiante. La spiaggia si raggiunge anche via mare, come fanno soprattutto i turisti dei resort, mentre la via terrestre è un continuo saliscendi in mezzo al verde, fino allo sterrato finale di soli cinque chilometri, ma in pessime condizioni. Il mare non si vede, ma si percepisce, soltanto all'ultimo vediamo l'acqua, le onde e il sole all'orizzonte. La spiaggia, si dice, tra le dieci più belle dei Caraibi, non è attrezzata e soltanto ai due estremi delle baracche offrono il posto per un pasto. Fino a tarda mattinata siamo gli unici esseri viventi a godere di questo spicchio di paradiso. Poi arrivano i gestori dei fatiscenti ristoranti, un primo gruppo di turisti via mare, poi un secondo, poi alcuni quad dalla nostra stessa strada. Lasciata playa Rincon, nel pomeriggio ci imbarchiamo per Cayo Levantado, da un molo ubicato pochi chilometri prima di Samanà. Salpiamo con una piccola imbarcazione, senza giubbotti salvagente, nonostante il mare sia mosso. Il Cayo è una sorta di atollo maldiviano nel cuore dei carabi. Mare bello, ma atmosfera deludente…

Il terzo giorno è ancora all'insegna delle spiagge e del mare, ma prima visitiamo il piccolo e caratteristico mercato di Samanà. All'inizio ci aggiriamo tra i banchi un po' timorosi essendo gli unici turisti, poi le apprensioni svaniscono tra un pescivendolo che ci chiama per mostrarci con orgoglio i grossi pesci da lui pescati e una bella fanciulla, sorridente, che vende della frutta ancora più bella. Prima di andarcene acquistiamo da un simpatico giovane un cd contenente i maggiori successi di merengue che una volta saliti in auto spariamo ad alto volume. Quando giungiamo ad El Limon i locali sembrano divertiti a vedere due gringos ascoltare la loro musica e a così alto volume. Di qui raggiungiamo a cavallo la famosa cascata. Il sentiero per arrivarci è fangoso per via della pioggia caduta nei giorni precedenti e letteralmente immerso da una folgorante natura. Lungo il sentiero, tra una selva di piante e frutti che non conosciamo, sembra di cavalcare in un epoca senza tempo. La cascata si annuncia con un fragoroso rumore: l'avventura vale proprio la pena! Rientrati ad El Limon la nostra guida ci propone una sfida a domino. L'accontentiamo e durante la partita consumiamo delle gustosissime torte comprate presso una panederia. 
Torniamo sulla costa e ci fermiamo alla spiaggia di El Portillo che ben si addice per una sosta perché ha un bellissimo mare cristallino di colore verde - blu. All'incirca al centro della spiaggia, dal mare, emerge un reef corallino che si presta ad essere esplorato con maschera e pinne. Restiamo stupiti dagli incredibili anemoni di mare che vi crescono. Esattamente sulla parte opposta, due "Kite Surf" aleggiano nel cielo colorandolo. La disciplina sportiva, un mix vincente tra acquilonismo, sci nautico, windsurf e wakeboard, esplosa alle Hawai, permette salti e acrobazie davvero spettacolari ed è stata subito recepita dai dominicani, tanto da essere dilagata al pari del baseball. Da El Portillo proseguiamo lungo mare fino a Las Terrenas che ormai non conserva più l'atmosfera autentica decantata sulle guide. Il turismo sta via, via dilagando, anche se non ha ancora raggiunto i livelli frenetici di Punta Cana. Non si può dire lo stesso delle spiagge nei suoi immediati dintorni: Playa Bonita e Cosòn sono infatti deserte e selvagge e senza nulla da invidiare alla più famosa playa Ryncon. A playa Cosòn assistiamo ad un indimenticabile tramonto.
Di ritorno sulla brutta sterrata piena di buche incontriamo una donna con in testa un vassoio di ciambelle. Ci fermiamo e approfittiamo per assaggiare un tipico prodotto locale: ciambelle di pane di cocco.
Arriviamo a Rio San Juan quando è ormai buio accompagnati neanche a dirlo dalla solita pioggerellina serale. Abbiamo qualche difficoltà a trovare l'hotel per via delle strade deserte e non illuminate.

L'ultimo giorno ritorniamo nell'entroterra per raggiungere le pendici della Cordillera Central, più precisamente il paese di Jarabacoa famoso per le numerose cascate, come il Salto di Jamanoa. Lungo il percorso attraversiamo altri sperduti villaggi di montagna e ancora una lussureggiante vegetazione ci accompagna, tra una piantagione di canna da zucchero e l'altra. Le strade sono affollate da uomini armati di machete in cammino lungo i bordi della carreggiata, in procinto di andare al lavoro. Sono haitiani è costituiscono il primo anello della catena per quanto concerne la produzione del ron, ovvero il rhum, la bevanda nazionale.

Percorrendo in auto l'Isla Hispaniola ci siamo meravigliati del cuore verdissimo dell'isola, a testimonianza che un viaggio nella Repubblica Dominicana non si limita soltanto alla vita di mare. Forse, non è del tutto sbagliato identificare la Repubblica Dominicana con la stessa frase con cui la descrisse Cristoforo Colombo: .

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