"Reportage di Viaggio" è la raccolta dei viaggi organizzati da Socchi Adriano, titolare dell'agenzia CULTURE LONTANE


Il triangolo storico - culturale

10.03.2003 18:34

Le giovani fanciulle vestite con eleganti sari di color rosso - azzurro che ci ricevono stemperano l'impatto con la struttura, altrimenti decadente, dell'aeroporto di Colombo. Fuori, ci attende Sena, l'autista del nostro viaggio. Tiene in mano un cartone con i nostri nomi, illeggibili, se non da due passi poiché scritti con una biro. Sena ha notevoli e folti peli dentro e sopra le orecchie, tanto che non sfigurerebbe nella parte di un alieno nella serie televisiva Star Trek. L'abito, però, non fa' il monaco! Al di là del buffo aspetto, Sena si rivelerà una persona seria e competente. Padre di famiglia, cinquant'anni, sembra essere uscito da un vecchio film inglese, in cui gli autisti si distinguono per l'impeccabile educazione e per i modi eleganti e gentili. Mai una parola di troppo e sempre puntuale, un indimenticabile autista dall'aspetto singalese, ma dalle maniere inglesi.
Un breve percorso di trenta minuti ci conduce dall'aeroporto a Colombo. La strada è trafficata di autobus, tuk tuk e biciclette. La costeggiano, da ambo i lati, innumerevoli bancarelle. Gruppi di bambini in divisa scolastica e donne in sari vi aggiungono note di piacevoli colori. Rivediamo immagini mai dimenticate dell'India, che un po' ci aspettavamo, ma nel proseguo del viaggio dovremo ricrederci. Lo Sri Lanka, spesso considerato un'estensione dell'assai più grande - e turisticamente famoso ed intrigante - continente indiano, è invece un paese assai differente. Lo Sri Lanka possiede caratteristiche uniche. Non per niente, Marco Polo definì quest'isola - la più bella del mondo -.
Percorrendo la piacevole Galle Road, che s'allunga per chilometri in riva al mare, Colombo sembra una capitale, come tante altre nel mondo. Miscuglio di etnie, traffico caotico, edifici moderni accanto a palazzi coloniali, grossi centri commerciali… ma in realtà l'aria che si respira è quella di una città assediata. Gli sbarramenti sono ovunque. Ad ogni crocevia si vedono giovani militari, con il fucile puntato, barricati dietro a ripari fatti di sacchi di sabbia, così come davanti ad ogni edifico di interesse turistico. Il "Fort", il pittoresco quartiere centrale, è un bunker inespugnabile. La visita della zona è un susseguirsi di barriere di filo spinato che s'aprono e, subito, si chiudono dopo il nostro passaggio. Colpisce un intero palazzo di dieci piani sventrato da una bomba. I vetri sono tutti rotti e le mura ancora annerite. Spaventati dall'agghiacciante visione, chiediamo a Sena quando è accaduto l'attentato. "Due anni fa'" risponde. "Perché, allora, non è stato ancora riparato?" "Poiché serve a ricordarci di non abbassare mai la guardia." La pace dichiarata tra la minoranza tamil e il governo sembra quindi essere solo una firma sulle carte e quest'ultimo continua a mantenere operative tutte le precauzioni necessarie a prevenire possibili attacchi terroristici. Il dispositivo di difesa della capitale è più che mai attivo e Colombo rimane una città blindata! L'intento del governo "fidarsi e bene, ma non fidarsi è meglio" ha avuto i suoi risultati, almeno su noi, che ricorderemo il palazzo colpito dall'attentato piuttosto che il bazar di Pettah, la moschea Jami-ul-Alfar o il Clock Tower. 
L'indomani iniziamo il tour delle antiche capitali singalesi, Annuradhapura, Polonnaruwa e Dambulla il cosiddetto triangolo storico - culturale. Subito fuori Colombo incontriamo la religione buddhista visitando il Kelaniya Raja Maha Vihara che sorge nel luogo in cui, circa duemila anni addietro, il Buddha si fermò a divulgare le sacre scritture. All'ingresso ci vengono offerti dei petali di fiore, affinché anche noi compiamo il nostro atto di devoto omaggio, e a nulla sono valsi i tentativi di pagare il venditore. I fedeli sono raccolti in preghiera intorno al sacro albero del Bo. Alcuni sono seduti, altri in ginocchio e altri ancora in piedi, ma tutti hanno le mani rigorosamente giunte, proprio come le teniamo noi quando preghiamo. I più devoti, compiono per tre volte il giro intorno all'enorme albero reggendo nelle mani una brocca d'acqua che, infine, versano addosso alla statua del Buddha, situata proprio sotto l'albero Bo. Sul muretto che circonda la sacra pianta vengono riposte le offerte: fiori di loto e d'ibisco, bicchieri di te, ciotole di riso, petali di fiori, fazzoletti di preghiera e bastoncini di incenso accesi. Siamo gli unici infedeli tanto che ci sembra di profanare l'intimità delle preghiere dei credenti. Come ci sentiremo noialtri se qualcuno s'aggirasse in chiesa durante la cerimonia della messa? Cerchiamo quindi d'essere discreti e distanti per non disturbare, ma non vi riusciamo in quanto la sola nostra presenza è sufficiente a distrarre più di un fedele. 
Per i successivi tre giorni percorreremo strade che assomigliano alle nostre di campagna, soltanto che qui, in Sri Lanka, sono quelle principali. Su queste strette strade sfrecciano, come se niente fosse, motociclette saettanti, auto rumorose senza marmitte, camioncini zeppi di mercanzia e biciclette traballanti. Il paesaggio tutt'intorno è rigoglioso di palmeti. Sui lati, fanno spesso la loro comparsa negozietti carichi di spettacolari mucchi di verdure e, soprattutto, frutta esotica (banane, ananas, manghi, cocco, papaia…) per cui ad ogni fermata e d'uopo l'acquisto di due grossi ananas, un sacchetto di banane e una bevuta del succo della noce di cocco, forse un po' caldo ma senz'altro dissetante! Per l'intero viaggio questo sarà il nostro pranzo.
La strada per Kegalle è una sorta di bazar senza una fine. Ad ogni villaggio che attraversiamo, infatti, vi sono mini mercati formati da non più di una decina di bancarelle assiepate ai margini della via. Vendono tutte gli stessi, identici, prodotti: noci di acagiù, quindi di canna di bambù e vimini, e per ultimi non ben identificati frutti esotici che, nonostante Sena s'impegni a spiegarci cosa siano, non riusciamo a riconoscere.
Al Pinnewala Elephant Orphanage, l'orfanotrofio degli elefanti, giungiamo intorno alle 12.00, al momento del pasto. La visita è un po' una delusione per chi credeva, come i sottoscritti, di partecipare ad una sorta di safari a piedi. L'orfanotrofio assomiglia, infatti, ad un grande zoo a cielo aperto. L'emozione, però, di imbattersi con un elefante è soltanto rimandata. Incontrare elefanti selvaggi lungo la strada non è assolutamente raro e più di una volta saremo costretti a fermarci - per pochi o molti minuti - perché uno o più di questi pachidermi, animali sacri per la gente locale, non si spostava dalla carreggiata, creando lunghe e diligenti attese. Più di una volta dai finestrini del nostro mini-bus li avremmo visti aggirarsi indisturbati sul territorio circostante.
Per ammirare il magnifico Buddha di Aukana, compiamo una lunga deviazione. Il momento migliore, scrivono le guide, è l'alba ma noi, neanche a dirlo, vi giungiamo al tramonto. Alto 12 metri, finemente scolpito nella roccia, nella posizione in cui è pare vigilare le processioni di fedeli e turisti. Vale la pena arrivarci anche se è pericoloso viaggiare di notte lungo questa strada secondaria. Il buio è pesto non si vede alcuna luce all'orizzonte sembra di essere piombati indietro nella storia, prima dell'invenzione della lampada, la prima fonte di luce artificiale. Se malauguratamente bruciassimo un faro del minibus sarebbero guai, guai seri! E' ormai notte quando giungiamo ad Anuradhapura, la più antica e santa città dello Sri Lanka. Nel buio della sera la città sembra desolata. L'impressione svanisce al mattino. Sotto un sole sfolgorante, l'agglomerato urbano è fin troppo animato. Attraversandolo vediamo scolari allineati in rigorose file indiane, che sembrano aspettare l'appello. Ci dirigiamo subito a Mihintale, su suggerimento di Sena, per salire i 1.840 scalini che portano alla sommità, dove si trova il dagoba Ambasthale, considerato sacro perché qui nacque il buddhismo in Sri Lanka, approfittando del fresco del mattino. L'ascesa è considerata la "via crucis" del buddhisti.
Ritornati ad Anuradhapura ci spostiamo con il nostro minibus lungo un selciato spesso sconnesso che si sviluppa lungo le rovine della città e unisce i templi l'uno con l'altro. A destra e sinistra ora palazzi distrutti, ora statue del buddha, ora vasche sacrali e, soprattutto, tanti diversi dagoba, le cui bianche e candide cupole risplendono sotto un sole accecante. Sarà quasi un calvario, poi, andare a piedi nudi sul terreno formato da aguzze pietrine che circonda il sacro albero Bo (Sri Maha Bodhi), il ficus millenario che rappresenta il centro fisico spirituale dell'antica capitale e meta venerata dai buddisti. Oltre al supplizio di dover camminare come su dei chiodi ardenti bisogna prestare attenzione a non calpestare le ciocche di riso, sparse sulla ghiaia, grandi quanto il pugno di una mano, impastate con una sostanza della consistenza della marmellata e appiccicosa come la colla, così come mi è capitato perché per toglierla ho impiegato qualche giorno. Giungiamo a Polonnaruwa, una vasta area sulla quale vi sono sparpagliati decine di templi, a metà pomeriggio. Il caldo umido è insopportabile per cui preferiamo visitarlo rimanendo nell'aria condizionata del minibus, mai come in questa circostanza privilegiato punto d'osservazione. Ma il Gal Vihara proprio non si può e deve perdere. In questa specie di anfiteatro paesaggistico vi sono scolpite tre imponenti statue del buddha dove l'Illuminato è raffigurato in piedi, seduto e sdraiato.
Il giorno seguente ci vede impegnati nella scalata al monolito di Sigiyria che s'innalza improvviso sulla pianura circostante. Alto 200 metri con ripide pareti a strapiombo sarebbe inaccessibile se non fosse per una serie di scalini e vertiginose passerelle scavati artificialmente nella roccia, sui fianchi delle pareti. Sulla sommità resta ben poco della cittadella costruita dal folle re Kasyapa, ma si può godere di uno spettacolare panorama sulla sottostante pianura. La principale attrazione di Sigiyria sono, tuttavia, gli splendidi affreschi conservati in una nicchia all'incirca a metà percorso. Altrettanto belli sono quelli di Dambulla anche se, a dire il vero, restiamo maggiormente impressionati dal recentissimo Golden Temple, appena costruito e sormontato da una statua del buddha alta più di trenta metri, interamente ricoperta di foglie d'oro.
Alle cinque grotte rupestri s'arriva dopo aver salito l'ennesima faticosa scalinata. Pur essendo molto meno impegnativa, rispetto a quella di Sigiyria, ne patiamo maggiormente la fatica a causa dell'insopportabile calura umida delle 13.00.Il sole picchia! In più, lungo il percorso siamo inseguiti da schiere di audaci scimmie, una colonia di macachi vive qui in libertà, e da insistenti venditori di souvenir. Inoltre, un inaspettato numero di lebbrosi - alcuni dei quali letteralmente divorati dalla malattia - fa l'elemosina. Non c'è nulla che possa fare per queste povere persone, per cui proseguo quasi indifferente, ma con l'animo in gola. Le grotte contengono statue del Buddha, ma sono le immagini dipinte sulle pareti a costituire il fascino di questo posto. Al ritorno, saliamo sul minibus in fretta e furia, per godere del fresco dell'aria condizionata che chiediamo a Sena di sparare immediatamente al massimo mentre ci lasciamo alle spalle il triangolo storico - architettonico - culturale per iniziare quella parte del nostro itinerario essenzialmente paesaggistica, verso il Picco d'Adamo e le Highlands singalesi.

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