L'Atacama, là dove finisce la terra.

13.09.2002 18:18

Entriamo in Cile, dalla Bolivia, attraverso la frontiera di Hitocajon, il confine di stato che con i suoi 4.850 metri d’altitudine può fregiarsi del primato di essere la dogana, transitabile, più alta del mondo. Il posto è desolato e desolante, sferzato com’è dai venti freddi e pungenti delle Ande. Non migliorano il quadro la minuscola casupola dell’ufficio della dogana boliviana, la carcassa arrugginita di un pullman, il cartello che indica l’entrata nel territorio cileno e alcuni soldati. Espletate le formalità d’uscita, il minibus che collega quotidianamente la laguna Blanca, in Bolivia, (a qualche chilometro dalla laguna Verde) con il paese di San Pedro de Atacama, in Cile, scende vertiginosamente, di ben 2.400 metri in poco più di 30 chilometri di strada. Le formalità d’ingresso per il Cile sono effettuate appena fuori della città di San Pedro, in uno degli uffici doganali più temuti del paese, per controlli e severità. Siamo rigorosamente perquisiti e i nostri bagagli accuratamente ispezionati, dall’intransigente policía internacional.


Una volta superata la dogana, si può immediatamente gustare la tranquillità di questa piccola oasi del deserto. A San Pedro de Atacama le strade sono ancora sterrate e le case, tutte bianche, sono costruite in adobe, vale a dire in mattoni di fango fatti indurire al sole. La vita si svolge essenzialmente sulla deliziosa piazzetta dove sorgono la chiesa e la Casa Incaica. L’iglesia de San Francisco, ha un aspetto massiccio e tipico coloniale. Vale la pena entrare per vedere il soffitto costruito con assi di legno di cactus. Sul lato opposto, la Casa Incaica, è un grazioso edificio, che risale al 1.540. E’ diventato famoso perché vi dormì Pedro de Valdivia, il Cavaliere dell’Estremadura, che conquistò il Cile, fondando tra l’altro, in onore del re spagnolo, la città di Santiago de la Nueva Estremadura (Santiago del Cile). A due passi da plaza de Armas c’è, poi, il museo Gustavo Le Paige, senza dubbio, il fiore all’occhiello del paese. Al di là della straordinaria collezione di suppellettili e manufatti, di epoca precolombiana, il museo raccoglie diverse mummie preispaniche dal sorprendente stato di conservazione. Il clima estremamente arido e secco, della regione, ne ha favorito l’ottima preservazione. In particolare merita di essere vista la celebre "miss Chile", la mummia di una giovane donna dai lineamenti molto graziosi. 

San Pedro de Atacama è il punto di partenza per le molteplici escursioni che si possono effettuare nei dintorni, non per nulla pullula di agenzie di viaggio e di turisti. Grosso modo propinano tutte gli stessi itinerari e di questi, due in particolare, non bisognerebbe perdersi.

La valle della Luna, a soli dodici chilometri da San Pedro, è una depressione ricoperta da stravaganti formazione rocciose, voragini, piccoli canyon, cunicoli e dune di sabbia. L’agenzia spaziale statunitense della NASA ha identificato in questo luogo l’ambiente più simile a Marte, dell’intera superficie terrestre e proprio qui ha deciso di collaudare la navicella spaziale "Nomad", poi atterrata sul pianeta di Marte. Il desierto de Atacama, non per niente, è il posto più arido del mondo. 

Intorno alle 16:00 partiamo per un giro di tre ore che ci porterà, a bordo di un minibus, a toccare le principali attrazioni naturalistiche del posto. La scelta dell’ora è finalizzata dal desiderio di assistere al tramonto, da quella che è comunemente chiamata la "Grande Duna". Il tempo a disposizione è sufficiente per vedere tutto, in quanto la Valle della Luna non è estesa. Così, seguendo la buona strada sterrata che attraversa la valle, di volta in volta, ci fermiamo in appositi spiazzi da ognuno dei quali partiamo per brevi escursioni a piedi. 

Visitiamo per prima una spaventosa voragine di cui non si riesce a vedere il fondo nemmeno sporgendosi. Si pensa che a crearla sia stato un meteorite.

Proseguendo infiliamo un angusto canyon e ci addentriamo in un sistema di bassi e scuri cunicoli, che attraversiamo armati dell’indispensabile pila fornita dall’agenzia. 

Di qui, ripresa la strada, proseguiamo per i "Camini delle Fate", che sono delle grandi e alte colonne d’argilla. Teniamo lo sguardo fisso ai finestrini. Il paesaggio cambia aspetto, dopo ogni salita, colore, dopo ogni curva. Di nuovo, sul minibus, giungiamo alle "Tre Marie", delle rocce di arenaria erose sapientemente dal vento, dalle sorprendenti somiglianze con la Madonna. Così ben scolpite che sembrerebbero modellate da una mano umana. 

Tra uno spostamento e l’altro la nostra giovane guida, ci dice di non aver mai visto piovere. L’ultima pioggia, o meglio spruzzata, risale a suo dire al 1971 quando si sono registrati 1,5 millimetri di acqua. Sarà vero? 

E’ sopraggiunta, intanto, l’ora del tramonto e come da programma siamo ai piedi della "Grande Duna". Una camminata di una ventina di minuti, in salita, sulla sabbia, ci porta in cima. Lo spettacolo è meraviglioso. La giornata è limpida ed il cielo terso. Man mano che le ombre, al calar del sole, si allungano, le rocce e la sabbia, che contraddistinguono il deserto, assumono colori di tonalità diverse, passando dal giallo all’arancione, dal rosa al rosso. Dall’alto la vista spazia a 360°. All’orizzonte, l’imponente catena andina, in cui si distingue l’inconfondibile profilo del vulcan de Licancabur (5.930 metri), alla cui base eravamo il giorno precedente. Quando rientriamo a San Pedro è, ormai, notte. 

L’indomani ci alziamo, di buon mattino, per andare a visitare un altro spettacolo della natura: i geyser di El Tatio a 95 km da San Pedro. E’ gioco forza partire alle 04:00 del mattino poiché l’attività inizia, immancabilmente, tutti i giorni, all’alba e dura all’incirca una trentina di minuti. Si parte nel buio della notte e si sale per raggiungere l‘altipiano dei geyser, su una strada sterrata, che s’inerpica sulla cordigliera, fino 4.330 metri d’altitudine. Si arriva un po’ prima dell’alba, verso le 06:30. Un consiglio, che spero seguirete, è quello di portarvi dietro una coperta. Gli autobus sono malconci. Il riscaldamento non funziona mai e dai finestrini, anche se chiusi, filtra aria gelida.

Quando giungiamo sull’altipiano i crateri sono ancora inattivi, ma s’avverte e percepisce dai sordi sbuffi provenienti dal terreno e da qualche timida fumarola che, qua e là, improvvisamente si crea, che di lì a poco qualcosa succederà. Il tempo di consumare la colazione, opportunamente riscaldata sfruttando il calore del terreno e, ad uno ad uno, contemporaneamente al levare del sole sulla piana, i diversi crateri s’attivano producendo esplosioni di vapore, alte fino a dieci metri. Dopo una quindicina di minuti quello che era un silenzioso altipiano sembra un girone dell’inferno dantesco. I riflessi dei raggi del sole sulle nubi di vapore sprigionato creano stupefacenti riflessi di luce. Quello che più colpisce è il numero dei geyser e non tanto l’altezza dei getti. Passata mezzora gli scoppi vanno via via estinguendosi e ritorna la quiete. L’escursione però continua. 

Lasciamo El Tatio per dirigerci ai Baños de El Tatio, distanti pochi chilometri. Senz’altro da preferire ai bagni di Puritama. Qui è possibile fare un inedito bagno a 4.300 metri d’altezza, circondati dal seducente scenario andino. Tra le diverse sorgenti calde, d’origine vulcanica, c’è una piscina naturale, con l’acqua ad una temperatura di circa 20° nella quale ci si può bagnare. L’acqua in ebollizione nelle pozze, a causa dell’altezza e, conseguentemente, della ridotta pressione atmosferica, bolle a 87°, anziché a 100°.

Sulla strada del ritorno siamo fortunati protagonisti di un insolito incontro. C’imbattiamo in un branco di vigogne. La vigogna, il più raro dei quattro camelidi delle Ande, vive, come il guanaco, allo stato selvatico, a differenza dei domestici lama e alpaca. La sua lana è pregiatissima. Oggi la specie è protetta perché correva il rischio d’estinzione. 

Giungiamo al rio Rimac, in parte gelato, nonostante siano, ormai, le 11:00. Il corso d’acqua è famoso per l’alto contenuto di arsenico, tutt’oggi regolarmente estratto. Da qui la vista sul vulcano Putana alto 5.890 metri è superba. Il curioso nome gli è stato affibbiato perché ha la bocca larga. Un’ultima sorpresa è vedere, di tanto in tanto, a queste altezze, qualche sporadico cactus.

La regione dell’Atacama, soprattutto nell’inverno australe, giugno - settembre, è una valida alternativa alla Patagonia, per chi vuole, comunque, visitare il Cile in questo periodo dell’anno. Si resterà stupiti ed affascinati nel trovare inaspettate attrazioni, soprattutto naturalistiche, a conferma che il Cile non è solo Patagonia e Terra del Fuoco.

Da San Pedro de Atacama un lungo trasferimento (poco meno di 1000 chilometri), con una breve tappa a Calama, ci attende per giungere ad Arica, da dove attraverseremo il confine per entrare in Perù. 

A Calama ci fermiamo quanto basta per capire che la città vive e si anima la notte. Terminato il duro lavoro, nella vicina Chuquicamaca, la più grande miniera a cielo aperto del mondo, gli infaticabili minatori si riversano, a Calama, a bere una birra nelle caratteristiche schoperias. Sono birrerie diventate famose perché il servizio ai tavoli è prerogativa di giovani e avvenenti ragazze, vestite con dei completini succinti più consoni a delle spogliarelliste che a delle cameriere. Capirete come mai sono frequentatissime dai minatori. Molti dei quali, non paghi, terminano le loro nottate in uno dei tanti night club. Calama parrebbe proprio la città, della notte, dei locali notturni.

Alle 23:00 partiamo con un bus di lusso per Arica. Il viaggio durerà tutta la notte. Comodi sedili reclinabili, con tanto di cuscino e coperta, forniti a bordo, ci consentiranno contro ogni nostra più rosea previsione, di dormire decentemente. Al mattino, alle 08:00, siamo ad Arica. 

Tipica città di frontiera, la troviamo assai deludente. Senz’altro a influenzarci negativamente nel nostro giudizio è anche la presenza della grigia garúa, l’immancabile nebbia che, in inverno, staziona sulla costa. Le grandi spiagge deserte sono maltenute. Passeggiando lungo mare raggiungiamo El Morro, un promontorio dall’alto del quale è possibile godere di una bella veduta sull’Oceano Pacifico, le spiagge e la città. L’unica vera sorpresa è quella di trovare una piccola chiesa, in ferro, progettata da Eifel lo stesso della torre di Parigi. Per Cece, invece, l’unica vera sorpresa è quella di trovare un Mc Donalds.

A metà pomeriggio lasciamo la città. Attraversiamo la frontiera tra Arica (Cile) e Tacna (Perù), in taxi, senza alcun problema, se non che, vergognosi delle ingiuste agevolazioni riservate ai turisti, passiamo davanti ad una lunga fila di persone e in cinque minuti abbiamo i timbri indispensabili per uscire dal Cile.