"Reportage di Viaggio" è la raccolta dei viaggi organizzati da Socchi Adriano, titolare dell'agenzia CULTURE LONTANE


La strada dei Re e il Mar Morto

13.11.1998 21:57

La pittoresca King’s Highway - la "strada dei re" - è comunemente conosciuta tra i giordani con il nome di "strada del sultano". Ad ogni modo, comunque si voglia chiamare chi visita il Regno Hascemita di Giordania non può fare a meno di percorrerla. Si snoda da Petra a Madaba, serpeggiando lungo i fianchi di vari canyon che, uno dopo l’altro, oltrepassa. Attraversa inoltre antiche città ed interessanti castelli e, dietro ad ogni curva, riserva panorami spettacolari e sempre nuovi.


Lasciata Petra, a metà pomeriggio imbocchiamo la strada in questione diretti a nord, verso Kerak. Dopo circa 25 chilometri, su una collinetta vediamo materializzarsi la fortezza di Mons Realis, a due soli chilometri dal piccolo villaggio di Shobak. Si tratta della prima delle tante roccaforti, costruite dai crociati, che s’incontrano sulla King’s Highway. Queste si trovano alla distanza corrispondente ad un agevole giorno di cammino. In questa maniera era possibile, di notte, accendendo dei grandi falò, comunicare tra un castello e l’altro, anche per migliaia di chilometri. I fortilizi, ad eccezione di quello di Kerak, non sono ben conservati, ma vale la pena vederli, quanto meno da fuori, poiché dominano sempre dei bei panorami sul desolato paesaggio giordano. In particolare, destano interesse negli animi degli appassionati di storia in quanto sono stati teatro d’importanti e decisive battaglie e dimora di principi e re. Mons Realis fu costruita nel 1115 d. C. da Baldovino I e tutt’oggi si possono vedere, sulle mura del forte, le iscrizioni arabe incise da Saladino in persona. La costruzione è in pessimo stato e non merita una visita. Da lontano il colpo d’occhio è ammirevole anche se la costruzione è in pessimo stato. Subito dopo Shobak offriamo un passaggio ad un militare di leva, Feisal, diretto, come noi, a Kerak. Quale migliore occasione per carpire la realtà della società giordana attraverso la testimonianza e il racconto di un giovane soldato? Peccato, soltanto, per il breve tratto di strada che faremo insieme. La città, a fine novembre, è in pieno periodo di bassa stagione, e troviamo un solo albergo aperto, nei pressi della cittadella, al completo. Tutti gli altri sono chiusi, ma Feisal ci ricambia del passaggio con un grosso favore. Un suo amico è proprietario di una piccola pensione all’ingresso del paese, così ci accompagna da lui. E’ chiusa anche questa e, come se non bastasse, vi sono dei lavori in corso, ma a forza di insistere e spacciandoci per dei suoi cari amici, Feisal alla fine convince l’albergatore che riesuma una camera. La stanza sa di chiuso, è sporca, non ha il riscaldamento e l’acqua, oltretutto, ha uno strano colore rosso, ma è tutto quel che passa il convento. Ringraziamo e salutiamo Feisal. Gli stessi problemi avuti per trovare un albergo si ripetono nel cercare un posto dove mangiare. I ristoranti non mancano, ma hanno le serrande chiuse, per la stagione. Dopo aver girato su e giù per Kerak, entriamo in un locale dove credo, per gli sguardi ricevuti e l’onore riservatoci dal padrone, mai nessun turista abbia messo piede. Non esiste un menù e bisogna quindi accontentarsi della pietanza del giorno, naturalmente i piatti sono locali. Siamo fortunati perché la portata odierna è il mansaf, il piatto nazionale giordano: bocconcini d’agnello bollito serviti su di uno strato di riso, accompagnati con una ciotola di brodo e yogurt. A dirla tutta, questa specialità beduina non è molto apprezzata dai nostri palati. Ritorniamo alla casa dell’albergatore per prendere le chiavi della camera, ma arriviamo nel bel mezzo della preghiera serale. La voce del muezzin risuona in tutta la città, dall’alto dei minareti. Tutta la famiglia è intenta nel rituale della preghiera che consiste in una serie di genuflessioni, eseguite rivolti verso La Mecca. Rispettosamente aspettiamo, in disparte.

Il mattino seguente visitiamo il qasr, ossia la cittadella. La fortezza fu costruita nel 1132 d. C. da Baldovino I (lo stesso di Shobak), fu dimora del castellano Rinaldo di Chatillon, famoso per la sua slealtà e brutalità nei confronti degli infedeli. Nel XIII secolo, dopo essere stata conquistata dagli arabi, il sultano mamelucco Baibars allargò e rinforzò la struttura. Il complesso, oggi restaurato, è un intrigo di stanze e passaggi. Dalle torri il panorama, verso il Mar Morto, è superbo. Non scordatevi di portarvi una torcia: vi tornerà utile nell’attraversare lunghi corridoi che sembrano non finire mai. Come già detto, tra tutte le roccaforti è l’unica che merita. L’edificio, più imponente che bello, è un’opera esemplare del genio dei crociati in fatto d’architettura militare. Nel biglietto del forte è compresa anche la visita dell’attiguo museo.

Lasciamo Kerak e dopo circa un’ora di strada superiamo il grandioso canyon di Wadi al-Mujib, uno dei più incredibili spettacoli naturali della Giordania. Questa spaccatura altro non è che l’Arnon della Bibbia, nell’antichità il confine naturale tra i moabiti e gli amorriti. E’ profondo più di mille metri ed è emozionante attraversarlo in auto da un pendio all’altro. Tuttavia bisogna prestare molta attenzione. In più punti la strada è sterrata, piena di curve pericolose e con forti pendenze. In fondo alla gola si possono ancora vedere i resti della strada romana fatta costruire da Traiano, insieme con alcune abitazioni d’epoca nabatea, bizantina ed araba. Dal ponte, secondo il livello dell’acqua, è possibile intraprendere un’escursione sul fondo della gola, a piedi se il letto del fiume è asciutto - come accade sempre più frequentemente, così ci dicono, in questi ultimi anni - in barca quando, invece, c’è l’acqua.

Noi proseguiamo il nostro itinerario verso nord. Sulla "strada dei re", vecchia almeno cinquemila anni, sarebbe possibile fare un grande numero di deviazioni vuoi per ammirare un paesaggio, una sorgente termale, piccoli ed incantevoli villaggi, profondi canyon, una riserva faunistica, un castello, una città antica, ma bisognerebbe avere molto tempo a disposizione. Come i più anche noi siamo costretti a fare delle scelte. Per esempio, mancheremo di visitare "la città dei mosaici", ossia Madaba, e con lei il famoso mosaico raffigurante la carta geografica della Palestina, conservato nella chiesa greco-ortodossa di San Giorgio, decisione influenzata dalla nostra fede cristiana. Preferiamo, infatti, vedere il Monte Nebo, la cui area è dedicata alla memoria di Mosè. Il Monte Nebo si trova a soli dieci chilometri da Madaba. Sul luogo c’è un monastero nel quale quotidianamente i frati francescani celebrano una messa, professata in latino. Noi abbiamo la fortuna di parteciparvi, combinazione che contribuirà a rendere più ascetica la visita di questo posto, tanto caro ai cristiani quanto agli arabi. Il Monte Nebo è il luogo religioso più venerato della Giordania. Mosè, infatti, è un profeta molto rispettato e omaggiato anche dalla popolazione mussulmana. All’interno della chiesa si possono ammirare dei mosaici risalenti alla fine del V e inizio del VI secolo d. C, tra cui un vero capolavoro, simile nello stile a quelli di Madaba, un mosaico molto ben conservato in cui sono rappresentate persone e animali. Dal piazzale antistante alla chiesa si ha una vista stupenda. Esattamente in questo punto – così dicono le scritture - Mosè ha visto la Terra Promessa. Lo sguardo spazia sulla Valle del Giordano, una striscia verde facilmente identificabile in mezzo al territorio desertico, sul Mar Morto e fino a Gerusalemme. Come ogni bel vedere che si rispetti un cartellone indica i punti interessanti visibili. Sempre sul piazzale, colpisce la curiosa e singolare croce, che rappresenta il bastone che Mosè trasformò in serpente dopo essersi adirato contro il suo popolo distratto dai piaceri della bella vita. Infine, nel giardino, tra gli ulivi, una stele indica la tomba dove si presume sia stato sepolto il profeta. Supposizione difesa a spada tratta dai giordani, ma sono almeno quattro i luoghi, in Medio Oriente, dove si ritiene sia sepolto Mosè. Uno è in Israele, un altro in Egitto, un altro ancora in Siria. Non importa quale sia il vero sepolcro di Mosè, ma è da rimarcare che qui pregano, uno accanto all’altro, fedeli di diversa religione. 

Dal Monte Nebo, a 802 metri d’altezza, "precipitiamo" in un’ora negli inferi della terra. Abbandonata la King’s Highway, via Naur scendiamo verso il Mar Morto, il luogo più basso della terra. Quando raggiungiamo il segnale che indica il punto esatto del livello del mare, scenderemo per altri 398 metri. Superiamo così un dislivello totale di 1.200 metri, percorrendo solo 52 chilometri di strada. Il nome di questo mare è spiegato dal fatto che nelle sue acque è impossibile ogni forma di vita vegetale e animale. E che ci troviamo nel regno dei morti l’intuiamo subito dal caldo insopportabile, nonostante sia la fine di novembre. La sponda orientale, quella giordana, a differenza di quella israeliana, è disabitata. Il paesaggio è immutato dai tempi dell’antichità. Esistono due soli posti dove è possibile rilassarsi nelle pesanti acque del Mar Morto, il più economico dei quali è il Dead Sea Club. Quanti vogliono provare la curiosa esperienza di un bagno davvero insolito, su questa spiaggia privata troveranno un servizio indispensabile come la doccia. L’elevata densità dell’acqua, causata dall’alta percentuale di sale (33%), fa’ sì che si galleggi rendendo pressoché impossibile l’affondamento e l’annegamento. Il sale, però, non perdona, ve ne accorgerete se avete dei tagli, anche insospettabili, e non appena uscirete dall’acqua, quando sarete assaliti da un insopportabile prurito su tutto il corpo. La doccia, con tanto di sapone, per levarsi di dosso il sale, che tira la pelle e brucia sulle ferite, è indispensabile. Detto questo l’esperienza, innaturale, è divertente. Si assiste a delle scene goffe: Mavi che tenta di nuotare, ma non vi riesce in quanto è tenuta in superficie dall’acqua… io che leggo tranquillamente la guida di viaggio come se fossi disteso sul divano di casa… Dopo aver sguazzato ed esserci divertiti, riprendiamo il viaggio. Percorriamo la strada che costeggia il Mar Morto per tutta la sua lunghezza (75 km). Sulla riva, di tanto in tanto, sembra di vedere dei piccoli iceberg. Sono in realtà pietre ricoperte da un sottile strato di sale. 

Il sole calante, sulla sponda occidentale d’Israele, regala luci e tonalità sensazionali e così beneficiamo di un tramonto dorato, indimenticabile.

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