"Reportage di Viaggio" è la raccolta dei viaggi organizzati da Socchi Adriano, titolare dell'agenzia CULTURE LONTANE


La via delle Kasbah

13.08.1996 18:43

L’asfalto della strada, lunga e diritta, e il calore dell’aria creano dei miraggi in lontananza. Ingannato, l’occhio vede tutto offuscato. Sembra di essere vicino alle fiamme di un incendio. Invece no… stiamo percorrendo la strada che da Errachidia conduce ad Ouarzazate, la famosa "via delle kasbah". Il nome è dato dal fatto che in questa zona del Marocco si concentra il maggior numero di queste fantasmagoriche e magiche costruzioni. Tutto il percorso sarà contraddistinto da giornate soleggiate. Attraversiamo un territorio arido, semi – desertico, e numerose sono le soste lungo il ciglio della strada, ora sotto l’ombra di qualche rara palma, più spesso dentro o davanti ad un negozio di bevande.


La strada di asfalto, perennemente fiancheggiata da una larga striscia, in terra battuta, riservata ai carri e alla gente a piedi, è spesso interrotta da dossi che finiscono in guadi dal fondo di fango essiccato e duro. Qua e là, gruppetti di donne, uomini e bambini. Traffico poco, ma quando incrociamo un altro veicolo gli diamo prudentemente strada deviando sulla sterrata che vi corre accanto, cioè facendoci completamente da parte. E’ consigliabile…

Il destino delle kasbah, così come quello dei ksour (plurale di Ksar), fino a qualche anno fa’ sembrava ormai segnato. Persa la loro ragion d’essere, molti ksour si erano svuotati, altri erano crollati. Ogni pioggia o tempesta di sabbia indeboliva o sommergeva sempre un po’ di più le kasbah… L’erosione e il deserto proseguivano infaticabili la loro opera di distruzione fino a quando, agli inizi degli anni 90, il governo centrale marocchino decise di intervenire con un programma di lavori di ristrutturazione e preservazione, di questi veri e propri monumenti del patrimonio nazionale. Cosa è una Kasbah e che cosa è un Ksour?

Un parallelismo con il mondo occidentale è semplificativo, ma utile: i ksour sono l’equivalente delle nostre città fortificate del periodo medievale, mentre le kasbah corrispondono ai castelli, ossia alle dimore dei re e dei principi, i locali. 

Ogni kasbah, come ogni castello che si rispetti, ha una storia da raccontare e un passato ricco di memorie. Se ne vedono ancora molte da quelle quasi completamente distrutte a quelle ben conservate. Alcune sembrano apparentemente vuote, ma in realtà sono abitate di chi è restio ad abbandonare l’ultima testimonianza di una vera e propria civiltà chiamata, appunto, delle kasbah. Se non si ha fretta e se si coglie l’opportunità di parlarci, proprio con questa gente si ha occasione di scoprire una cultura fondata non sul dio denaro, ma sugli affetti. Per costoro un bel ricordo custodito e conservato nel cuore vale ancora più di qualche migliaio di diram. E’ questo l’aspetto più caratteristico della "strada", la civiltà che ancora vi resiste, mentre il resto del Marocco, parti del deserto e sud compresi, sembra muoversi esclusivamente per il denaro. Sulla via delle kasbah la pecunia non è che un piccolissimo dettaglio spesso trascurato. Era una premessa doverosa citare la mia sorpresa davanti all’esistenza di certi valori che credevo ormai scomparsi prima di ritornare alla descrizione del viaggio.

La prima che incontriamo, lungo il nostro tragitto, è quella di Ifri, nei pressi di Errachidia. La vediamo sbucare improvvisamente, poiché fino all’ultimo rimane nascosta da delle alte palme. E’ una delle meglio conservate e tra le più note. Come questa, le più belle le incontrerete senza cercarle, ma consiglio di non trascurare quelle più fatiscenti, magari più difficili da raggiungere, sparse ovunque nel paesaggio e visibili per l’elevarsi ora di una torre, ora di una cinta muraria.

La strada ci porta a Tineghir! Il paese, visto dall’alto della deviazione che conduce alle gole di Todra, sembra un enorme ksour, d’altri tempi rimasto incredibilmente intanto, invece è un villaggio vero e proprio. Gli edifici, tutti di color sabbia si confondono con i marroni, i bruni, i beige, i gialli infuocati delle montagne circostanti.

Da Tineghir in avanti è davvero un susseguirsi di kasbah e ksour. Ne troverete un’infinità, spetta a voi scegliere in quali fermarsi a seconda del vostro spirito e delle emozioni del momento.

Per quanto ci riguarda, parlo per me ed i miei compagni di viaggio, abbiamo costatato che non sempre le più famose sono le più caratteristiche. Di alcune non si conosce il nome e neppure l’esatta ubicazione, s’incontrano semplicemente lungo il percorso, mentre altre si raggiungono con delle brevi deviazioni dalla strada principale. Ogni visita può rivelarsi una perdita di tempo come un esperienza indimenticabile. Vi sembrerà di essere piombati all’epoca di Saladino ed è in queste occasioni che sosterete ed apprezzerete l’inspiegabile atmosfera di queste costruzioni.

Nelle gole del Dades, lungo una strada stretta, ripida e piena di tornanti, (nell’Alto Atlante marocchino sembra di essere su certi passi alpini) se ne incontrano di splendide come quella di Ait Arbi proprio all’ingresso delle gole e quella di Imassine poco oltre. Nei dintorni, un manipolo di bambini scalzi appena ci corre incontro, non appena ci vedono, abbandonando i loro giochi. L’incontro con la gente, come già detto, è l’altra caratteristica di questo viaggio.

Lungo il percorso l’impaziente curiosità, con cui ognuno di noi attende l’incanto del profilarsi di una nuova kasbah, o ksour che sia, è spezzata, di tanto in tanto, dall’incontro con un gruppo di bimbi, o di anziani. Grazie all’ospitalità della gente, al desiderio d’osservazione degli occhi si aggiunge quello del cuore, la voglia di arricchire noi stessi attraverso la conoscenza col mondo marocchino che ci circonda. "La via delle kasbah" non è solo costruzioni, ma anche gente, il Marocco dei villaggi. 

Assolutamente da non perdere, proseguendo sulla strada per Ouarzazate, la kasbah di Amerhidil, nell’oasi di Skoura, una strabiliante costruzione fiabesca. Il clic delle macchine fotografiche è, qui, più ripetitivo del solito. Mi chiedo se le diapositive non saranno tutte uguali, ma questi soggetti unici nel loro genere invitano ad essere immortalati quasi si fotografasse il viso innocente di un bimbo o di una bella fanciulla.

La kasbah di Taourirt, a Ouarzazate, proprio nel centro della città, è una vera opera d’arte, ma l’atmosfera però non è più quella magica di quelle incontrate lungo la strada. 

Viaggio per vedere le opere e i monumenti dell’uomo, per conoscere popolazioni e realtà diverse dalla mia. Ebbene, prima di giungere a Ouarzazate, durante le soste tra una kasbah e l’altra, tra un oasi e l’altra, spesso mi è sembrato di percepire i segni dell’antica civiltà delle kasbah, se non in via di estinzione, sicuramente di trasformazione. Mi conforta l’aver osservato che questa piccola fetta d’Africa "araba" resta ancora autentica, in cui la popolazione cerca di conservare le proprie tradizioni, dove è possibile fare incontri genuini e amichevoli. Pur condividendo la stessa realtà geografica di quella incontrata lungo la strada, la gente di Ouarzazate non spartisce gli stessi valori e la stessa vita.

Lasciata l’indifferente Ouarzazate per una strada accidentata, ma percorribile, sono sufficienti però pochi chilometri di strada per ripiombare di nuovo nella favola del mondo autentico dei ksar. Quello di Aït Benhaddou, con le sue kasbah, appare da lontano straordinariamente intatto. Sembra una visione sogno, un miraggio. Le mura tremano per la rifrazione dell’aria dovuta al gran caldo e solo quando oltrepassato il fiume in gran parte dissecato ci accorgiamo dell’inganno. Il segno del tempo, del clima e degli uomini si rivelano con impietosa evidenza. La cinta muraria è severamente danneggiata, di alcune case rimangono solo le mura, le kasbah sono martoriate da tutta una serie di ferite. Eppure Aït Benhaddou vale la visita. Non per niente per via del suo aspetto scenografico è stato scelto come sfondo per molti film. Aït Benhaddou non è una città fantasma. C’è ancora chi vi abita, pochi a dire la verità, come un vecchio solo con il suo asino, tutto imbacuccato nel suo lungo burnus di lana colore marrone scuro, curvo per l’età avanzata. Donne a parte, uno dei pochi uomini che ho visto vestirsi secondo le usanze islamiche.

La via delle Kashah una strada dal percorso ben preciso, eppur senza confini e limiti. 

Vorrei essere riuscito a trasmettere le immagini e le sensazioni che mi sono rimaste nel cuore percorrendola, vorrei essere riuscito ad eccitare la vostra curiosità perché come si dice. "il viaggio comincia con la mente, prima ancora che con il corpo." 

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