"Reportage di Viaggio" è la raccolta dei viaggi organizzati da Socchi Adriano, titolare dell'agenzia CULTURE LONTANE


Salaar de Uyuni: il deserto bianco.

07.09.2000 17:22

Sono le 09:25 del mattino, di una giornata che stenta ad aprirsi ai raggi del sole, quando incominciamo a guardarci intorno sospettosi. L'appuntamento, davanti al piazzale della stazione dei treni, era per le 09:00, con partenza prevista per le 09:30. Non è tanto il ritardo del bus a preoccuparci quanto il fatto di essere gli unici ad aspettarlo. I biglietti acquistati nell'agenzia, due giorni prima, erano gli ultimi rimasti e dovrebbero esserci molte altre persone oltre a noi quattro. Altri cinque minuti d'inquietudine ed arriva il sospirato autobus e, contemporaneamente, una ventina di altri turisti brasiliani, giunti tutti insieme, essendo un unico gruppo. Spiegato l'enigma, e tirato un profondo respiro di sollievo, partiamo alla volta del Salar de Uyuni.


Ci attende una lunga giornata. La Paz dista da Uyuni ben 761 chilometri, 229 dei quali li percorreremo in autobus mentre i restanti 532 con il treno. A Oruro, un grande arco indica l'ingresso alla città. Subito dopo siamo costretti a scendere, a causa di un enorme cantiere tutt'intorno alla stazione. A piedi raggiungiamo la stazione ferroviaria. Il nostro treno è già pronto sul binario, tuttavia è ancora presto. Lasciamo i bagagli nella carrozza, appositamente adibita, e andiamo a mangiare in un grosso ristorante proprio davanti alla stazione. Poi partiamo. 
Non si tratta di un treno qualunque, ma del famoso "Expreso del Sur". Collega una volta alla settimana, precisamente il venerdì, la Bolivia con l'Argentina, arrivando a Buenos Aires tre giorni dopo. Il servizio a bordo è impeccabile, sembra di essere in Svizzera e non in Sud America. Le carrozze di seconda classe hanno comodi sedili reclinabili sui quali ci si può stendere, dormire, guardare la televisione. Ai passeggeri vengono, inoltre, offerte caramelle e bevande. Ogni mezzora, il personale del treno passa a spolverare i vagoni. Infatti, nonostante una doppia chiusura, una formata dal vetro del finestrino e l'altra da una serranda di ferro, il treno è continuamente invaso dalla sabbia che i forti venti dell'altipiano alzano facendola filtrare nelle carrozze, dove persino la respirazione diventa difficoltosa. Il convoglio da Oruro ad Uyuni non effettua nessuna fermata, e non potrebbe essere altrimenti. In quella grandiosa depressione di 800 km di lunghezza e larghezza, stabilmente al di sopra dei 3.500 metri, che è l'Altiplano, la vita è difficile. La "puna" con i tipici cespugli di tola (ciuffi d'erba giallastra) è un terreno di zolle e pietre continuamente spazzato dal vento e dal gelo. Giungiamo ad Uyuni alle 21:30, dopo sei ore e venti minuti. Ad attenderci troviamo Ibert, la nostra guida, nei prossimi quattro giorni.

Usciti dalla stazione, caricati gli zaini sul fuoristrada, partiamo per l'Hotel del Sal, ubicato nel bel mezzo del Salar. Il Salar di notte è uno spettacolo!
Mentre viaggiamo sulla superficie bianca e piatta restiamo letteralmente ammutoliti dalla struggente bellezza. Sembra di essere entrati, da chissà quale porta, in un mondo irreale. "Sogno o sono desto? Ma è tutto vero?", sono le domande che chiunque si porge quando arriva in questo luogo di notte. Qui le immagini reali si trasfigurano in sogni e favole e la realtà si dissolve in metafore visive. C'è anche una miriade di stelle che stravolge l'idea che noi tutti abbiamo della notte buia che incute paura. Il cielo notturno del Salar non è scuro, ma illuminato e se proprio dovessimo attribuirgli un colore lo rappresenteremo con il bianco e non certo con il nero, con quella scia di luce, lasciata dalle stelle della via lattea, che attraversa da una parte all'altra, come un arcobaleno, tutto il cielo.
E stelle sono anche quelle che si vedono all'orizzonte. Sono tanto basse che non si deve neanche alzare la testa per contemplarle. Basta guardare davanti. Pare di raggiungerle, ma, invece, rimangono sempre là all'orizzonte, in cielo e non in terra. Stelle dappertutto, in alto, davanti, dietro, di fianco… siamo come avvolti da un rassicurante mantello di luci. Tutto è così poco terrestre che sembriamo astronauti alla conquista dell'universo, e non dei turisti. Proviamo un'insolita emozione, quella di sentirci alieni sulla terra. Non perdetevi, per nessun motivo, lo spettacolo del Salar di notte. Dopo trenta minuti di strada, in cui Ibert si orienta seguendo le stelle, giungiamo all'hotel del Sal. Siamo gli unici turisti! 

Alle prime luci del nuovo giorno ci alziamo per non perderci lo spettacolo del sorgere del sole. In venti minuti, il Salar cambia ininterrottamente colore passando dal blu all'azzurro, dal rosa all'arancione, dal giallo al bianco. All'apparire all'orizzonte del primo raggio di sole le nostre ombre s'allungano a dismisura sulla superficie. Dopo aver assistito all'albeggiare, rientriamo nell'hotel per consumare la colazione. - L'Hotel del Sal appartiene a quella particolare categoria di alberghi strani e curiosi. Infatti, è interamente costruito da mattoni di sale, oltre a trovarsi, come già detto, in una posizione quanto mai originale. Il fascino che esercita è indiscutibile. Non contate, però, sull'acqua calda, sarete, anzi, fortunati se ne troverete di fredda, nelle bacinelle. La luce c'è, nel senso che ci sono le lampade con i fili elettrici, ma il motore d'avviamento a certe temperature non funziona quasi mai. Per tanto l'illuminazione resta un'utopia. Il riscaldamento non esiste. A tutto questo aggiungeteci una notte trascorsa in bianco per il freddo. Eppure l'Hotel del Sal, quest'albergo costruito in mezzo al nulla ed assai spartano, … eppur è incantevole! - Dopo la colazione, ha inizio la giornata, che trascorreremo interamente nel Salar de Uyuni; un itinerario unico in uno dei più fantastici spettacoli naturali che si possano ammirare. Incominciamo con il visitare il piccolo villaggio di Colchani che i boliviani considerano, non a caso, alla fine del mondo. L'osservazione è azzeccata. Bisogna vederlo per credere. Qui, in pratica, ogni famiglia è una cooperativa e annualmente si producono 20.000 tonnellate di quello che, secondo una stima, è il contenuto di 10 miliardi di tonnellate di sale del Salar. Proseguiamo verso l'area denominata Bloques de Sal dove gli uomini di Colchani raccolgono, armati di piccozza e pala, il sale. Strada facendo vediamo alcuni salinares che s'apprestano a raggiungere, in bicicletta, il proprio posto di lavoro. Costoro per proteggersi dal riverbero del sole sul sale portano tutti degli occhiali su cui sono montate delle lenti spesse e scure, mentre per vincere il freddo indossano dei passamontagna. La scena è al tempo stesso malinconica e bizzarra.

Da qui più di ottanta chilometri ci separano dall'Isla del Pescado. Durante il percorso Ibert c'informa di alcune curiosità. Così apprendiamo che il Salar è il deserto di sale più alto (3.650mt) e grande del mondo; ha un estensione pari a 10.000 kmq, ossia come l'intera Basilicata; è la distesa più piatta sulla terra con una differenza, tra le due estremità, di un solo metro; ha uno spessore variabile di alcuni centimetri fino a 40 metri, dove si alternano strati di sale e d'argilla. Là dove la crosta è di pochi centimetri è possibile estrarre dei cristalli di sale dai sorprendenti colori verdi, celesti e rosa. Questi buchi nel terreno sono romanticamente chiamati "gli occhi del salar".
L'incombente mole del vulcano Tunupa alto 5.400 metri, unico punto di riferimento nel Salar, indica che ci troviamo ancora nella parte nord. Ben presto però ci ritroviamo nel centro ed allora, a perdita d'occhio, non vedremo più nulla. Solo il bianco accecante della superficie che contrasta con l'azzurro del cielo. L'azzurro e il bianco sono perfettamente divisi dalla linea dell'orizzonte. Qui capiamo il luogo comune secondo cui ogni paesaggio deve essere visto personalmente per essere capito. E percepiamo che il Salar de Uyuni è il posto meno terrestre sulla terra.

Dopo un po', ecco profilarsi un miraggio. Una macchia scura si scorge all'orizzonte spezzando d'improvviso la linea di contrasto tra il bianco e l'azzurro, ma non è un miraggio, bensì l'Isla del Pescado. Quando appare, ad una distanza di una quindicina di chilometri, non si distingue ancora la sagoma, ma bastano una decina di chilometri per capire il significato del curioso nome affibbiatogli. Assomiglia, infatti, ad un pesce. E' il luogo più stupefacente del Salar. Si può propriamente definirla isola non solo perché è un affioramento di terra, ma una vera e propria isola di madrepora, che oggi emerge, come un atollo dall'insolita distesa di sale, reminiscenza reale di quel che era il Salar in una lontana era geologica: un enorme mare interno. Una foresta di cactus giganti ricopre l'isola. I più alti raggiungono dodici metri d'altezza. La maggior si presenta come delle semplici colonne, ma non mancano quelli a forma di candelabro. Non appoggiatevi, però, perché sono interamente ricoperti da lunghe spine. Circumnavighiamo l'isola a piedi, impiegando un'ora, dopodiché saliamo sulla cima, addentrandoci lungo un sentiero tra i cactus. Durante il percorso ammiriamo belle vedute del Salar. I colori gialli, verdi e grigi dell'isola contrastano con il bianco del sale ed il blu del cielo. Dalla vetta, dopo aver superato un dislivello di cinquanta metri, vediamo in lontananza un puntino scuro muoversi. Altro non è che un fuoristrada. 
Dopo una sosta di due ore lasciamo l'isola e il Salar diretti al villaggio di San Juan. Viaggiamo con le teste voltate all'indietro per vedere un'ultima volta, dai finestrini del nostro fuoristrada, l'immensa distesa bianca di sale.

Chi visita il Salar resterà abbagliato dalla sua luce accecante ed insopportabile, ma, soprattutto, dal suo singolare e impareggiabile paesaggio. E' uno di quei pochi posti al mondo, rimasti incontaminati, in cui si può ammirare uno dei più fantastici spettacoli della natura.

—————

Indietro