"Reportage di Viaggio" è la raccolta dei viaggi organizzati da Socchi Adriano, titolare dell'agenzia CULTURE LONTANE


Sana'a e il ramadam

31.10.2003 23:40

"… Allora, qual è il vostro prossimo viaggio?" era l'immancabile domanda e alla risposta "In Yemen?... Ma è un paese arabo, lì rapiscono i turisti e, poi, c'è la guerra in Iraq, …il terrorismo" era la scontata, allibita reazione.

Siamo quindi partiti per una stupefacente terra con sinistri auspici da parte di familiari e amici, ma al di là delle preoccupazioni più o meno reali che ci portavamo appresso, ancora oggi un viaggio nello Yemen significa vivere avventure che stanno tra passato e presente. Anche se sta' a poco a poco recependo le inevitabili ed incontrollabili avvisaglie che il turismo (comunque, non ancora di massa) sta portando, lo Yemen è tuttora l'Arabia Felix del tempo della regina di Saba. 
Il viaggio, a differenza di altre volte, inizia già sull'aereo. L'airbus della Yemenia è praticamente vuoto, i pochi passeggeri a bordo sono tutti mussulmani. Come mio solito chiedo all'hostess se gentilmente si può avere un giornale. Mi spiega che hanno soltanto "Yemen Today", in lingua araba. - Non importa - dico e me lo faccio portare. Lo sfoglio, naturalmente al contrario dato che la scrittura araba è da destra verso sinistra, e mi accontento di guardare le foto. Riconosco il presidente dell'Unione Europea Romano Prodi, nella pagina sportiva vedo una foto di Ronaldo, mentre nello spazio dedicato al tempo intuisco dai disegni che le previsioni meteorologiche, per i prossimi giorni, sono buone. Dopo cinque ore e mezza di volo il comandante annuncia di allacciarsi le cinture perché incomincia l'atterraggio. A questo punto assistiamo ad un episodio curioso, almeno per noi. Quelle stesse donne che per tutto il volo sono state in jeans e maglietta si ricoprono da capo a piedi, lasciando visibili solo gli occhi. Così coperte mi sfuggono le modalità di controllo dei passaporti. Le formalità d'ingresso sono lente e rigide, i bagagli minuziosamente controllati e segnati, uno ad uno… A caso, alcune donne vengono perquisite in appositi stanzini. E' l'alba, non siamo ancora usciti dall'aeroporto, ma subito entriamo in contatto con quel mondo che siamo venuti a cercare quando vediamo un gruppo di persone genuflettersi ripetutamente in un angolo sulla cui parete è disegnata una moschea, che indica la direzione della Mecca… sono fedeli che pregano Allah. 
Preso il taxi per il Sinbad Hotel lungo il tragitto abbiamo modo di renderci conto di essere finiti davvero in un luogo unico. A catturare letteralmente la nostra attenzione è l'abbigliamento della gente. Gli uomini indossano una tunica, in genere bianca, chiamata kandoura o più semplicemente una gonna. In pochi calzano i pantaloni, ma tutti portano giacche che assomigliano a quelle che si mettevano da noi, nei giorni di festa, negli anni sessanta. Sul capo, come una specie di turbante, ma spesso soltanto appoggiato sulle spalle, portano il ghutra, il fazzoletto bianco, a quadretti neri o rossi. Infine, alla vita hanno una cintura sfarzosamente ricamata che serve ad infilare la jambiya, l'inquietante pugnale ricurvo che tutti gli yemeniti hanno sempre addosso. Per via della lunga mantella nera che indossano, l'abaya, ossia quello che noi occidentali chiamiamo velo integrale, le donne sembrano delle sinistre presenze, ma hanno un portamento fiero così come lo sguardo, quando è possibile vederlo poiché non sempre gli occhi sono scoperti. Molte, infatti, portano il burqa, un pezzo di stoffa che copre interamente il volto.
Stanchi per la notte passata in aereo, andiamo a riposare, ma dalla camera dell'albergo si gode un vero e proprio, belvedere su Old Sana'a. La luce tenue dei primi raggi del sole colpisce i palazzi più alti della città vecchia. Sembra di ammirare un quadro: l'albergo è la galleria, i contorni della finestra sono la cornice del quadro e Old Sana'a è il soggetto. Immortalarla un po' di volte è d'obbligo. Quando ci rialziamo, a fine mattinata, il sole, ora accecante, rende la stessa veduta del mattino meno bella.
Siamo desiderosi di immergerci nel Suq al-Mith, il mercato costituito da quaranta piccoli suq. Percorriamo Az-Zubayri Street, attraversiamo il ponte sul fiume Sa'ila, completamente prosciugato, e ci troviamo ai piedi d'imponenti mura che costeggiamo fino a Bab el Yemen. Qui, seduti accanto alla loro merce, non troppo distanti l'uno dall'altro, incontriamo degli strani ambulanti. Si tratta di una decina di venditori di miswak, bastoncini da masticare, che metaforicamente possiamo definire gli spazzolini da denti yemeniti. Pare contengono fluoro e agenti antibatterici, oltre ad essenze rinfrescanti. Ci fermiamo in un ufficio di cambio, dove perdiamo parecchio tempo a contare l'enorme quantità di biglietti da cento rials scambiati per un'esigua cifra di dollari.
Oltrepassata Bab el Yemen, la porta d'ingresso principale della vecchia Sana'a, abbiamo l'immediata conferma che la realtà supera di molto le attese che c'eravamo fatti su questa città, davvero senza uguali nel mondo. Oltre la porta, all'interno delle mura, c'è lo Yemen di un tempo. Mi viene in mente una frase di Nino Gorio letta prima di partire: "Old Sana'a irrompe nel terzo millennio saltando completamente il secondo." Old Sana'a è effettivamente rimasta così come la videro i viaggiatori di un tempo, subito vi si respira un'atmosfera esotica e fiabesca grazie al brulichio impressionante di persone e alle caratteristiche case a torre, agli alti palazzi color argilla decorati di bianco. Oltre all'altezza degli edifici costruiti con mattoni di fango sono i fantasiosi ornamenti intonacati con il gesso a stupire l'occhio di un occidentale. I manzar, gli attici che si trovano sul tetto dei palazzi, per via delle decorazioni bianche ricordano i pizzi dei centrini delle nonne. Le finestre, un tempo d'alabastro, sono oggi di vetro, dipinte di diversi colori di cui s'apprezza la vivacità passeggiando di notte, quando la luce all'interno delle case l'illumina di mille colori.
Nei due giorni e mezzo in cui ci fermiamo a Sana'a, non facciamo altro che addentrarci in questo labirinto di viuzze dove è facile disorientarsi ma impossibile perdersi. Abbiamo imparato che qualsiasi direzione si prenda, andando sempre dritto, prima o poi, si uscirà dalle mura che circondano la città vecchia. C'immergiamo in questi vicoli senza alcuna meta, solo per osservare la vita di questo luogo e la sua gente. L'aria è gravida di odori a seconda del suq in cui ci si trova, delle pelli, dell'argento, della verdura, dei cereali, della ceramica, dei vestiti, delle spezie, del qat… Quest'ultimo è quello che c'incuriosisce maggiormente. Ramoscelli di foglie di qat sono sparsi ovunque. Le richiestissime foglie di quest'albero sono ricche di efedrina, che è uno stimolante, ragione per cui il qat è la droga nazionale che gli yemeniti sono soliti masticare per ore e ore. Se Sana'a è piena zeppa di negozietti, Old Sana'a n'è ricolma: due metri per tre, al massimo, e tutti rialzati leggermente dal suolo, con i negozianti circondati dalla mercanzia, seduti sopra alla mercanzia, più intenti, sembrerebbe, a masticare qat che non a vendere. Prima di riuscire dalle mura chiediamo ad un giovane, che nel frattempo aveva incominciato a seguirci per offrirsi come guida, che cosa fossero quelle specie di sassi giallo biancastri, che vedevamo vendere un po' ovunque. Non si trattava di pietre, ma di una resina aromatica e precisamente la famosa mirra. Nel tardo pomeriggio al calar del sole gli edifici di Old Sana'a assumono via via il colore del bronzo, mentre i candidi decori sembrano brillare di luce propria. Nell'insieme la città vecchia assume una lucentezza molto simile a quella in cui era avvolta all'alba, quando l'avevamo vista per la prima volta dalla camera del nostro albergo, ma, tuttavia, diversa. Dopo una deliziosa cena al restaurant Palestine si conclude, ma soltanto apparentemente, il nostro incontro con Sana'a. A notte fonda, alle 04.00 del mattino, un frastuono ci sveglia e ricorda di essere in quest'incredibile città. A diffondere questo baccano sono i muezzin che cantano l'azzan (la chiamata alla preghiera) che si dirama dall'alto dei minareti, attraverso gli altoparlanti. I muezzin li avevamo sentiti in altri paesi arabi, in Turchia, Marocco, Tunisia, Egitto, Giordania, Qatar ma mai così assordanti come a Sana'a. 
Siamo ritornati a Sana'a alla fine del viaggio, in pieno ramadan, il mese in cui i mussulmani digiunano dall'alba al tramonto. E' venerdì, giorno festivo e i negozi sono chiusi, anche quelli di Old Sana'a. Ora con così poca gente possiamo vagare tranquillamente e meglio apprezzare gli edifici della città vecchia, scoprire affascinanti angoli nascosti come i giardini e gli orti. Giriamo tutta la mattina ed intuiamo che si potrebbe girare all'infinito per la vecchia Sana'a senza quasi mai percorrere la stessa via. Siamo rapiti, ammaliati da questa sorta di enclave medievale, quando un anziano rompe l'incantesimo e ci riporta alla realtà riprendendoci perché stiamo mangiando delle polpette di patate, cosa tra l'altro qui consentita ai non fedeli. In Arabia Saudita saremmo stati immediatamente arrestati. "Già, il ramadan…!" esclama Mavi. Cerchiamo di giustificarci con l'anziano, ma non ne vuole sapere delle nostre scuse e continua per la sua strada imprecando in arabo. Dopo l'accaduto prestiamo più attenzione per non offendere la popolazione di cui siamo ospiti. A parte il disguido con il vecchio l'incontro con le persone è stato molto positivo. Gli yemeniti sono tutti gentili, ed anche se parlano pochissimo l'inglese, si sforzano di comprendere e di comunicare, sono aperti e ospitali. 
Stanchi di girovagare facciamo tappa al Golden Daar Tourist Hotel. Dall'alto dei suoi sette piani assistiamo al tramonto dopo averlo atteso per più di un'ora seduti sui divani del mafrai a consumare da bere. Quando giunge sera, i muezzin dagli altoparlanti delle moschee annunciano la fine del digiuno salutato, come ogni sera, con l'inizio della festa (dell'Eid al-Fitr) e la città improvvisamente si riempie di vita. Un andirivieni di gente si precipita a mangiare nei chioschi e nei ristoranti ogni sorta di pietanza. Per strada vengono allestiti veri e propri banchetti di fortuna che sono presi d'assalto dalla gente che si rimpinza di ogni cosa. Cerchiamo di approfittare di questo trambusto per riuscire ad entrare almeno in una moschea. Proviamo a farlo in quella di Maydan at-Tahrir, come tutte l'accesso è riservato soltanto ai mussulmani, ma dobbiamo accontentarci di guardarla da fuori perché un uomo, credo il custode, c'impedisce l'ingresso. Ritiriamo i bagagli lasciati in custodia alla reception dell'hotel e preso un taxi ci avviamo all'aeroporto …il viaggio è finito.
A casa con un po' di presunzione e sarcasmo rispondiamo metaforicamente a familiari ed amici raccontando di essere stati sì rapiti, ma non da qualche tribù di guerriglieri, bensì dall'incanto di questo straordinario paese.

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