"Reportage di Viaggio" è la raccolta dei viaggi organizzati da Socchi Adriano, titolare dell'agenzia CULTURE LONTANE


Una notte a Doha, prima della guerra.

16.03.2003 22:43

Sull'aereo che da Colombo, in Sri Lanka, mi riporta in Italia sono assorto a leggere il giornale di bordo della Qatar Airways. L’intenzione è quella di prendere più informazioni possibili sulla città di Doha. Motivo? A causa di uno scalo di diverse ore nella capitale del Qatar, ho proposto ai miei compagni di viaggio d’ingannare le lunghe e noiose ore d'attesa, che ci aspetterebbero all'aeroporto, non con le solite interminabili partite a carte, ma andando a visitare, pur con poco tempo a disposizione e di notte, Doha. 


Detto, fatto, e il viaggio continua…

Capitiamo a Doha nel bel mezzo della crisi irachena. Gli americani hanno allestito, fin dal 6 di marzo, nella base di As Sayliyah, nei pressi di Doha, il proprio quartier generale. E’ anche per questo che decidiamo di visitare la capitale dello stato arabo, che riveste un ruolo importante nello scacchiere politico di questa delicata area che è il Golfo Persico. Il Qatar, infatti, non è certo una meta turistica. Date le sue modeste dimensioni non ha gran che da offrire al viaggiatore. Senza timore di essere smentito, è tra le destinazioni turistiche meno ambite del mondo. Il paese ha iniziato a rilasciare visti turistici soltanto a partire dal 1989 e solo di recente la monarchia assoluta ereditaria, che è al governo, ha deciso d’aprirsi al turismo, ma ad un turismo d’élite. Il Qatar promuove manifestazioni di livello internazionale di golf, tennis, motociclismo, e di recente la nazionale di calcio ha incontrato, in una partita amichevole, il Milan. Nonostante tutto, il Qatar, rimane un paese non votato al turismo.
Un po’ per caso ci ritroviamo a Doha per catturare, per quanto possa essere possibile, gli aspetti caratteristici di questa società della penisola arabica, appena più liberale dell’Arabia Saudita, ma certamente più arretrata del Bahrein, del Kuwait e degli Emirati Arabi. 
Durante il disbrigo delle non semplici formalità doganali veniamo separati; gli uomini da una parte e le donne dall’altra. Io e Cece, tanto quanto Mavi e Ila, siamo accuratamente perquisiti. A me requisiscono una bottiglia di vino, ma finalmente usciamo dall’aeroporto. Soffia un inaspettato e fastidioso vento, un infausto preavviso dei venti di guerra che saranno. Quattro giorni più tardi scoppierà la nuova guerra del Golfo.
Sul piazzale antistante noleggiamo un taxi per un paio d’ore. L’autista non capisce bene l’inglese quindi gli consegno il foglio con l’itinerario annotato (in inglese) sull’aereo: Corniche, Qatar National Museum, Tower O’Clock, Big Mosque, Al-Sadd Plaza, Shebestan Palace Restaurant, Doha Sheraton Hotel, Aljazeera T.V. 
Ora sembra capisce e partiamo.
Imbocchiamo, quasi subito, la strada che percorre per intero la Corniche, una baia a mezza luna in cui brillano, nel buio della notte, le luci dei lussuosi hotel che la costeggiano. Abbandoniamo momentaneamente, il lungo mare, per dirigerci al Qatar National Museum, non per visitare le preziose collezioni che conserva, anche perché, data l’ora, è chiuso, ma per osservare l’edificio che fino al 1949 fu residenza dello sceicco Abdullah Bin Mohamed. Proseguiamo verso il centro della città alla volta della Tower O’Clock, della Big Mosque e di Al-Sadd Plaza. A questo punto il nostro autista prima c’intima e, poi, ci vieta di scendere. Gli chiediamo: < Why, no possible? > insistiamo assicurandogli che vogliamo fare semplicemente una passeggiata e scattare qualche foto. < No possible! No possible! > continua ad essere la sua risposta. Fin quando, a seguito delle nostre incessanti richieste di una spiegazione alteratosi minaccia di lasciarci lì. Fermato il taxi ai bordi della strada ci spiega che la zona di notte è malfamata ed inoltre, con i tempi che corrono, i turisti occidentali non sono tanto ben visti dalla popolazione. Non sappiamo cosa pensare. Il Qatar, dal punto di vista dello stato sociale, è uno dei più sicuri al mondo. Per esempio l’istruzione e la sanità sono gratuite, le case costano poco o niente, il lavoro non manca. Tutto questo grazie al petrolio. I cittadini, poi, in questi ultimi anni, si sono abituati agli stranieri occidentali. 
Sarà, allora, proprio per via della guerra? 
Stando a quanto scrivono i giornali il popolo del Qatar non è d’accordo con la scelta del proprio governo di schierarsi a favore degli americani. Siamo tentati di chiedere al tassista la sua idea in proposito, poi desistiamo per non creare dell’ulteriore tensione.
L’impressione, però, è che nella capitale del Qatar il conflitto sembra già essere scoppiato e qui più che altrove la guerra è vissuta come uno scontro tra occidente e islam, anche se gli americani si sforzano, in tutti i modi, di far capire che è una guerra contro il Rais dell’Iraq, Saddam Hussein, e non contro la sua popolazione.
Guardandosi attorno si resta colpiti dall’abbigliamento degli uomini, i quali vestono tutti, ancora, nella maniera tradizionale, cioè indossando una tunica, lunga fino ai piedi, rigorosamente bianca, con in testa il kafiyyeh, il tipico fazzoletto arabo (rosso e bianco, nero e bianco o completamente bianco), e la ‘iqal, la corda nera usata per fissarlo al capo.
Per strada colpisce, inoltre, ancor di più, l’assoluta assenza di donne. Siamo in un paese arabo tra i più conservatori. La condizione femminile è, secondi i canoni occidentali, anacronistica. Basti pensare che solo nelle ultime elezioni tenute nel 1.999 le donne hanno votato per la prima volta. un evento eccezionale tant’è che la circostanza ha incontrato la disapprovazione dei paesi arabi confinanti.
All’ennesimo No possible, no possible! Rinunciamo senza avere capito il motivo per cui c’è stato impedito di scendere.
Continuiamo il nostro tour notturno e questa volta è solo la sfortuna ad impedirci di vedere lo Shebestan Palace Restaurant, in quanto è chiuso. Il ristorante, nel cuore della città, è famoso non soltanto per la cucina, ma per la sua architettura di stile persiano, dagli interni da mille e una notte, tanto da essere diventato una meta turistica, come il Doha Sheraton Hotel.
Nella città s’intravedono enormi ritratti del capo di stato, l’emiro Sheikh Hamad Ibn Khalifa Al –Thani, caratteristica questa di tutti i paesi di quest’area geografica, in cui campeggia, in ogni dove, la figura del sovrano. 
Prima di arrivare al Doha Sheraton, riprendiamo la Corniche, al termine della quale si trova il celebre hotel. Si distingue, fin da lontano, per la sua spettacolare architettura piramidale. L'hotel dispone di una vasta gamma di servizi di lusso, dal centro fitness ai campi da tennis e da squash, e svariati ristoranti e caffè. L’ingresso e la hall sono enormi, c’è una fontana e delle vere e proprie piante di palma. Due ascensori, interamente di vetro, salgono e scendono di continuo. Il pavimento è di marmo bianco, immacolato, o altrimenti è ricoperto da grandi tappeti. Una notte in suite costa quanto l’intera vacanza che abbiamo appena trascorso in Sri Lanka.
Per terminare il nostro giro manca soltanto più la visita alla T.V. Aljazeera, ribattezzata la CNN araba. Di nuovo, il tassista riprende ad imprecare, in inglese, < No possible. No possible. Danger!. Danger! > A suo dire l’emittente, diventata famosa per aver trasmesso le immagini di Osama Bin Laden, dopo l’11 settembre, è un obiettivo a rischio attentati. Ci spiega che lui ha paura, ha una famiglia, per tutto questo si rifiuta di portarci.
Ora, l’impressione avuta poco prima diventa realtà: in Qatar il conflitto, visto come opposizione tra il mondo occidentale e il mondo arabo, è metaforicamente già scoppiato.
Ritornati all’aeroporto decidiamo di andare, ancora, fino al McDonald’s, che si trova a non più di trecento metri. Scopriamo che il panino "McArabia" esiste davvero, ma, soprattutto, all’interno vediamo tre donne completamente coperte con il tipico manto nero islamico. Il contrasto dei loro rigorosi abiti scuri stride con i colori sgargianti del locale. Il loro comportamento quasi ci imbarazza, a me sembra di profanare i loro costumi, le loro usanze. Ci accorgiamo di quanto sia la nostra società diversa dalla loro. 

E’ giunta l’ora di ritornare. Facciamo check-in, mi restituiscono la bottiglia di vino sequestrata all’uscita e ora…, ora sì, purtroppo, il viaggio è davvero finito. Tra poco più di mezzora ci imbarchiamo e tra sei ore saremo a Milano.

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