"Reportage di Viaggio" è la raccolta dei viaggi organizzati da Socchi Adriano, titolare dell'agenzia CULTURE LONTANE


Wadi Rum: il deserto di Lawrence d'Arabia

17.11.1998 22:02

"Il giorno appena nato ci vide in marcia fra due grandi picchi di roccia arenaria, diretti al termine di un lungo dolce pendio che sembrava quasi riversarsi giù dai monti torreggianti in fronte a noi: qui, mi dissero, cominciava la valle di Rumm. La nostra carovana si rese conto della propria piccolezza, e diventò taciturna, timorosa e vergognosa di ostentare la propria meschinità alla presenza della meraviglia dei monti. Solo le immagini di paesaggi in un sogno di fanciullezza si affacciano talvolta così immense e silenziose." 


Così descrive, il Wadi Rum, Thomas Edward Lawrence, il leggendario Lawrence d’Arabia, il giovane ufficiale di Sua Maestà che guidò la rivolta delle popolazioni arabe contro i turchi, appoggiate, per l’appunto, dall’Inghilterra. Ricevendone il titolo di Sir, baronetto, il cui rimarrà indissolubilmente legato a quello della valle di Rum.

Certo non basta un giorno per conoscere un deserto, anche piccolo, come quello del Wadi Rum. Si ha, in ogni caso, la possibilità di percepirne l’ambiente: le grandi pareti di roccia che si levano a picco nel cielo, il caldo insopportabile, la luce lancinante del sole, la sabbia spazzata via dal vento, la rugiada che scende con la notte e si posa ovunque, ma, soprattutto, gli immensi silenzianti non vi giungiamo, come Lawrence, in cammello, ma in maniera meno esotica, con la nostra macchina a noleggio sfruttando la buona strada asfaltata che dalla Desert Highway si dirama fino a Rum. Quando arriviamo, alle cinque del mattino, è ancora notte fonda. La nostra intenzione è di assistere all’alba, da quella che è comunemente chiamata la "Grande Duna". Per questo siamo partiti alle tre in punto dall’albergo di Petra. Secondo le indicazioni in nostro possesso, nell’unica rest huose di Rum, dovremmo trovare, nonostante l’ora, una guida disposta ad accompagnarci, con il proprio fuoristrada. Così non è! Il piccolo villaggio di Rum, da dove partono tutte le escursioni per il deserto, è addormentato. Non c’è anima viva in giro, non ci sono luci accese, se non quelle dei fari della nostra auto. Ad ogni modo, andiamo alla rest house e proprio mentre ci apprestiamo a bussare alla porta, timorosi di disturbare e svegliare qualcuno, improvvisamente escono due ragazze, che spaventiamo a morte. E’ proprio vero che la fortuna aiuta gli audaci. Costoro fanno parte di un gruppo di turisti svizzeri ed hanno appuntamento con Selim, una guida con cui si sono accordate il giorno precedente, per vedere sorgere il sole dall’alto, neanche a dirlo, della "Grande Duna". Ci aggreghiamo a loro e Selim diventerà anche la nostra guida per il tour nel Wadi Rum. 

La luna piena, con il suo tenue pallore, non permette di godere appieno dello spettacolo delle stelle, altresì avvolge il deserto di uno strano chiarore che sembra trasparire dalla sabbia e dalle rocce. In poco meno di venti minuti, ad una velocità abbastanza sostenuta, arriviamo alla base della duna. Qui togliamo le scarpe e saliamo, in silenzio e in fila indiana. La sabbia è umida e fresca, ma ciò che più ci colpisce è il colore rosso. Sarà perché è notte, sarà perché è coperta da un sottile strato di brina, ma è in assoluto la sabbia più rossa che abbiamo mai visto. Il contrasto tra il rosso della sabbia e il blu del cielo, ancora scuro, è incredibile. In cima l’apoteosi. Quando il sole fa capolino dietro ad un gruppo di rocce a forma di castello il Wadi Rum si scopre totalmente in tutta la sua estensione. "Là, dove sorge il sole, c’è l’Arabia Saudita", ci dice Selim, indicando l’orizzonte davanti a noi.

Sulla strada del ritorno, alla luce del giorno, possiamo costatare le caratteristiche fondamentali di quest’area desertica costituita da un territorio completamente sabbioso dal quale si elevano impressionanti formazioni rocciose. Non ci sono dune, queste si possono contare sulle dita di una mano. Per incontrare onde immacolate e sconfinate di sabbia bisogna spingersi fino in Arabia Saudita. Dalla sabbia, qua e là, emergono piccoli cespugli di acacia. Tutto questo è il Wadi Rum, un deserto unico nel suo genere. "Vasto, echeggiante e divino", come amava definirlo Lawrence d’Arabia.

Riportiamo alla rest huose le nostre compagne di viaggio, attese dalla loro comitiva, in partenza per Aqaba. Prima, però, di riprendere il nostro itinerario, Selim desidera che facciamo una visita a casa sua. La famiglia ci accoglie come se fossimo dei parenti più che dei clienti. Tutti insieme prendiamo un tè, con il latte, gentilmente, ma anche, forzatamente, offerto. Partiamo, di nuovo, dal piccolo villaggio di Rum, prendendo una pista opposta rispetto a quella presa precedentemente per la "Grande Duna". Selim punta il proprio fuoristrada, un vecchio toyota, in direzione della "Fonte di Lawrence". La visita è d’obbligo, non tanto per la sorgente d’acqua, oggi deturpata da un serbatoio veramente fuori luogo, quanto per visitare gli accampamenti delle tribù beduine che ancora oggi continuano a vivere nel deserto, fedeli alle proprie tradizioni. I beduini sono soliti venire fin qui a rifornirsi di acqua. Sono una popolazione nomade che vive di pastorizia e si sposta in cammello. Le loro tipiche tende, coperte con lana nera di capra, sono sempre aperte ai forestieri. Qui l’ospite è sacro. Il turista, per tanto, è sempre il benvenuto. All’ingresso della tenda Imhilah, una giovane ragazza con in testa lo chador, è indaffarata a cuocere il pane, per l’intera famiglia. Veniamo invitati ad entrare. L’intero perimetro della tenda è coperto da tappeti. Ci sediamo per terra e, come a casa di Selim, il capo famiglia ci offre del tè, anche qui con il latte. Si discute e basta. Dico questo poiché da un momento altro ci aspettavamo che qualcuno sbucasse a venderci qualcosa e invece questo non accade. Le domande sono le solite: da dove arriviamo, come si vive nel nostro paese, che lavoro facciamo. 

Proseguiamo per il "Canyon di Kazali" e quando arriviamo il sole splende, ormai alto, sul Wadi Rum. Com’è diverso il deserto ora che è giorno rispetto alla notte. Nel canyon si possono vedere dei graffiti risalenti all’età della pietra, molto ben conservati grazie alle favorevoli condizioni atmosferiche della regione. E’ sufficiente inoltrarsi per un centinaio di metri per godere della visione dei disegni incisi nella roccia, da chissà quale preistorico artista. Vi sono raffigurati per lo più animali, e vien da chiedersi come è possibile dato che guardandosi intorno non c’è altro che roccia e sabbia. Evidentemente in quell’epoca lontana il luogo doveva essere assai diverso, cosparso di verdi prati e innumerevoli animali. Da qui, dovevamo continuare per il "Grande Arco di Burdah", ma Selim ci avverte che è troppo lontano per il tempo a nostra disposizione e suggerisce la visita ad un altro arco, più vicino, meno grandioso, ma altrettanto suggestivo. Il paesaggio che attraversiamo è all’apparenza tutto uguale: sabbia, megalitici torrioni di arenaria e granito, cespugli di acacia… eppure, se si osserva attentamente è sempre diverso. La guida è difficoltosa perché si svolge interamente su piste di sabbia, tant’è che in più di un’occasione rischiamo di restare insabbiati. Il fuoristrada è indispensabile! Sulla strada, incontriamo il mitico "Ristorante di Lawrence", a dire il vero molto fatiscente, un cumulo di pietre e niente di più. Tuttavia è impossibile non emozionarsi, nel vederlo, se si è letto il libro "I Sette Pilastri della Saggezza". Da questo punto in poi, imbocchiamo la via del ritorno, del nostro giro circolare, passando nuovamente per la "Grande Duna", sulla quale eravamo stati all’alba. Ora la sabbia è meno rossa, il cielo meno blu. Dalla cima le cupole di roccia e gli scenari di sabbia, che avevamo visto illuminati dalla luce spettrale della luna, sono infuocati dal sole cocente del mezzogiorno. Fa’ caldo, e dire che siamo a novembre. In estate, dice Selim, le temperature sono insopportabili e per un tour come il nostro bisogna necessariamente rientrare a Rum, per non essere sorpresi nelle ore più calde della giornata nel bel mezzo del deserto. Nel tardo pomeriggio rientriamo, dopo aver girovagato in lungo e in largo per il deserto, passeggiato a piedi per gli ampi pianori di sabbia, arrampicato su alcuni dei tanti costoni rocciosi sopra ai quali ammirare sempre nuovi panorami. Proprio alle porte di Rum incrociamo due pittoreschi agenti della Desert Patrol, la famosa polizia del deserto, diventata tale per via dell’insolito mezzo di trasporto: il cammello. Fino a non tanto tempo fa’ tutti questi poliziotti, addetti a pattugliare il deserto al confine con l’Arabia Saudita per scoraggiare il contrabbando di droga, si servivano dei cammelli per spostarsi. Oggi sono soltanto più pochi quelli che utilizzano l’animale simbolo del deserto, ormai sostituito da potenti e veloci fuoristrada. Tutto a Rum evoca le gesta di Lawrence d’Arabia. Perfino nell’unico "supermercato" del villaggio, un piccolo negozio in cui si vende di tutto, si trovano i poster del mitico ufficiale inglese, che ormai tutti associano al viso dell’attore che ne ha interpretato il film. La nostra avventura è finita e ci congediamo da Selim, che a dispetto della giovane età c’è sembrato un uomo maturo e consumato dagli anni. Veste nella maniera tradizionale, cioè indossando una tunica rigorosamente bianca lunga fino ai piedi, con in testa il kafiyyeh, il tipico fazzoletto arabo, fissato al capo dalla ‘iqal, la tipica corda nera. E’ consapevole di essere, ormai, una rarità perché i giovani, e in realtà la società tutta, negli ultimi anni si è modernizzata, sulla scia di una politica disponibile ad aprirsi verso l’occidente.

Il deserto del Wadi Rum, seppur facilmente raggiungibile, non ha aperto le porte al turismo di massa. Infatti, a Rum, l’unica sistemazione rimane per ora la rest house e l’attiguo campeggio. Per tanto fin quando non saranno costruiti dei lussuosi alberghi l’intera area di questo deserto, passato alla storia prima per essere stato il teatro delle imprese di Lawrence d’Arabia e dopo per la riconosciuta bellezza dei suoi paesaggi, rimane un luogo tranquillo e riservato. Ci si rende conto di quanto penetri nell’animo non appena lo si lascia.

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