"Reportage di Viaggio" è la raccolta dei viaggi organizzati da Socchi Adriano, titolare dell'agenzia CULTURE LONTANE


Winter Expedition 4x4 "Thi Ring Road": da Egilsstadir a Reykjavik.

08.03.2004 18:51

Quando giungiamo ad Egilsstadir siamo soltanto a metà del nostro viaggio e già proviamo un senso di conquista; la soddisfazione per essere riusciti ad arrivare sin qui. Ma ci aspetta, ancora, la parte nord dell’Islanda, quella più impegnativa per via della neve e di alcuni passi da superare. Vivremo avventurose emozioni, ancora più grandi di quelle provate fino ad ora…


In riva al lago Lögurinn, nell’unico albergo in cui soggiorniamo durante tutto il viaggio e in uno dei pochi momenti di riposo, mi rendo conto di essermi dimenticato ancora una volta il nome dell’ennesimo paese. Succede sempre in Islanda… provate voi a ricordare il nome del villaggio di Kirkjiubaejarklaustur o del sentiero dell’Öxarárholmur che conduce in cima all’Almannagjà, passando per il capanno di Biskupabúðuo. Leggo questi impronunciabili nomi solo per dimenticarli subito. Sarà anche per questo che i media prestano scarsa attenzione a questo piccolo ed isolato paese, il cui ruolo nell’economia mondiale non è soltanto marginale, ma addirittura inconsistente. Il nostro viaggio alla scoperta delle isolate e selvagge lande dell’inverno islandese, fin ad ora, ha mostrato come il paese, seppur non sconfinato come altri posti sulla terra, ha spazi senza limiti e tempo per chi prova a percorrerli. All’infuori della zona intorno a Reykjavik, il resto del territorio è un deserto nel senso più completo della parola: di terra e di gente. E’ difficile cogliere il carattere dell’uomo. E’, invece, facile comprendere il paesaggio, che è il protagonista assoluto ed indiscusso. Il puro e semplice paesaggio, ora infernale, ora glaciale.

Ad Egilsstadir ci concediamo finalmente un giorno da nababbi nella pur carissima Islanda. Non badiamo a spese per mangiare e consumiamo così una succulenta cena. Mavi si fa’ preparare del salmone alla salsina verde servito con patate lesse; Paola ordina una zuppa di lenticchie con pezzetti d’agnello e patate; Cris, prende l’haddock, un pesce simile al merluzzo, con crema di formaggio ai gamberetti; infine, il sottoscritto, bocconcini di renna con salsa di mirtillo e riso bollito. Qui seduti al caldo tepore del ristorante Nilsen, improvvisamente il tour “Winter Expedition 4x4” ci sembra semplice, le fatiche scomparse e tutte le ore di guida alle spalle…ma domani già si riparte!

La prossima meta è Grimsstadir, da cui si dirama la strada n°864 per le cascate di Dettifos. La Ring Road lascia Egilsstadir inerpicandosi costantemente fino a Möðdrudalu, vera oasi in questo deserto bianco. Il paesaggio assume, finalmente, sembianze artiche: ad eccezione della strada tutto è bianco e ghiacciato, ma il clima non è affatto così freddo come si potrebbe pensare. Un cartello stradale indica di fare attenzione alle renne. Sembra l’abbiano messo lì apposta perché appena un chilometro dopo c’imbattiamo in un branco di renne… e subito dopo in un altro. Siamo i soli a percorrere la strada il cui asfalto si assottiglia sempre più finché non si trasforma in una pista di terra battuta. Davanti a noi vediamo profilarsi, ad un certo punto, una sagoma e soltanto a pochi metri ci rendiamo conto che si tratta della carcassa di una renna investita da uno dei pochi mezzi che transitano in questa stagione. Le montagne vulcaniche sono di modeste dimensioni eppure sembrano maestose come le vette delle nostre alpi ricoperte come sono di ghiaccio e neve. La pista ritorna asfaltata poco prima di Grimsstadir dove prendiamo la deviazione per Dettifoss. Il solito segnale “malbik endar” indica la fine dell’asfalto e la lettera “F” che si tratta di una pista per fuoristrada, informazioni superflue in questa stagione perché davanti a noi si distende una pianura di ghiaccio. Un successivo cartello avverte che la strada è chiusa, ma proseguiamo lo stesso. Non abbiamo punti di riferimento lungo la pista ormai non più delineata. Il ghiaccio al nostro passaggio si rompe e mille cristalli di ghiaccio schizzano in tutte le direzioni. Si rischia di forare per via di grossi e affilati cumuli di ghiaccio, o di rimanere innevati dove la crosta è cedevole. Non è un viaggio verso le sorgenti del Rio delle Amazzoni, ma tutta questa neve ghiacciata mette in difficoltà il nostro 4WD, seppur ben chiodato. Lo spirito d’avventura ci spinge avanti, fin dove sarà umanamente possibile proseguire. Siamo circa a metà strada quando decidiamo di tornare indietro. La delusione di non raggiungere le cascate più potenti d’Europa non intacca però l’emozione di trovarci in mezzo ad un nulla di pace e di sconfinata beatitudine. Abbiamo vissuto un’avventura vera, con l’adrenalina al massimo per il rischio che correvamo di rimanere bloccati, impagabile esperienza di viaggio.

Tornati sulla Ring Road, il bianco della neve ci accompagna fino al lago Myvatn. Lungo il percorso ci concediamo divertenti off road correndo indistintamente su uno dei due fianchi della carreggiata, segnando a fondo il duro e immacolato manto nevoso. Il sole brilla e il riverbero con il candido manto nevoso crea un tale scintillio di luce che l’area di solfatare di Hverarönd è meno infernale di quanto si aspetterebbe. Si nota fin da lontano, prima per la mancanza di neve e poi per l’odore di zolfo che s’espande per aria. Un sentiero ben segnato conduce tra le varie pozze di fango in ebollizione e le fumarole di vapore. La solitudine è assoluta e per la conformità del terreno sembra di essere su Marte! Esattamente dalla parte opposta si dirama una strada che costeggia un fiumiciattolo dal quale s’innalzano grandi nubi di vapore (per via dell’acqua calda che vi scorre) che preannunciano il pauroso vulcano di Krafla. Dall’avveniristica centrale geotermale parte la stretta stradina che in poche rampe porta al parcheggio e di qui camminiamo fino ad una delle piccole caldere. Il luogo è a dir poco interessante: il piccolo cono vulcanico è per metà coperto da ghiaccio e per metà fuma di calore. Nessuno di noi aveva mai visto così evidente il duello tra il fuoco e l’acqua, né penso lo vedrà mai altrove. L’Islanda deve essere l’unico posto del mondo dove ambienti così diversi riescono a convivere… Prima di giungere a Rykjahlio, presso Bjarnarflag, costeggiamo una collina, priva di neve, dai colori così incredibili che il paesaggio sembra un disegno a pastello in cui il fuoristrada aleggia nell’aria. Sul lago Myvatn troviamo innevata la pista per la pozza d’acqua calda di Stóragjá. L’eccessiva abitudine e sicurezza alle impervie strade islandesi, acquisite nel corso del viaggio, ci gioca un brutto scherzo: rimaniamo innevati! Non siamo attrezzati di pala e piastre così intraprendiamo vani tentativi di scavare ora con i piedi e le mani, ora con i pali divelti da un recinto prima di arrenderci e andare in cerca di aiuto. Fortuna vuole che a soli pochi chilometri incontriamo un’abitazione. Un giovane viene ad aprirci e, senza troppe parole, carica una pala e una fune sul suo pick-up. Cris e Mavi che erano nel frattempo rimasti dal fuoristrada quando ci vedono ritornare non credono ai loro occhi. Bjork dà due colpi di pala attorno alle ruote poi ci fa’ scuotere l’auto per muoverla dalla posizione in cui si era bloccata quindi ci tira fuori con corda e verricello. C’è ancora abbastanza luce per tentare la salita sul cono del vulcano Hverfjall. La pista che conduce alla sua base è sabbiosa e nerissima. Prendiamo il sentiero più diretto, ma anche il più faticoso, e dopo mezzora siamo in cima ad ammirare i due laghi, naturalmente, ghiacciati, all’interno del cono. Per il resto, la vista sul Myvatn, interamente ghiacciato, è glaciale e a buon ragione possiamo affermare: “l’Islanda è nostra.”

Dopo una fantastica giornata di sole, l’indomani ci alziamo con la neve. Una breve nevicata notturna ha ricoperto di un leggero strato di fiocchi di neve la strada, la guida è quanto mai prudente specie dopo l’incidente di ieri. Tempo di arrivare alla cascata di Godafoss e il sole ha già fatto capolino sulle nuvole. Durante la giornata il cielo si pulisce completamente, così la tipica Husavik e la capitale del nord Akureyri ci accolgono con un tepore più primaverile che invernale. A Solvanes troviamo concentrate, più che altrove, grandi mandrie di cavalli islandesi, razza unica che si contraddistingue per la bassa statura, il folto pelo e la lunghissima coda. Se ne vedono di tutti i colori bianchi, marroni, neri a macchie… La fattoria in cui pernottiamo è sperduta nella landa islandese e la limpida nottata lascia sperare di poter assistere allo spettacolo dell’aurora boreale, ma la speranza resta tale. Qui il buio è davvero buio e il silenzio davvero silenzio... A Glaumbaer, oggi un museo a cielo aperto, sono conservate le caratteristiche case islandesi in torba. Non lontano si trova l’incantevole chiesa di Vioimyri, famosa per avere i muri e il tetto d’erba. Abbandoniamo di nuovo la Ring Road per seguire la sterrata 711 che costeggia l’Hùnafjördur e ci condurrà prima al faraglione di Hvitserkur, ma soprattutto ad Indisvik, dove si trova la colonia di foche più grande dell’Islanda. Un cartello poco visibile dalla strada indica che si è arrivati. Di qui si segue un breve sentiero che in pochi minuti porta alla spiaggia. A passo lento ci avviciniamo cercando di non fare rumore e vediamo una cinquantina di foche che si scaldano, pancia in sù, al tiepido sole. Quando s’accorgono della nostra presenza si buttano immediatamente in mare. Ci fermiamo ad osservarle sbucare da ogni dove con lo sguardo buffo e curioso, con occhi graziosi e ben spalancati. Prima di rituffarci nella civiltà, fermiamo il nostro fuoristrada a Reykholt, presso la famosa pozza di Snorri. Si dice che nessun altro luogo legato ad una qualche saga risulta altrettanto affascinante per gli islandesi, ma noi vi preferiamo la sorgente di Deildartunguhver, la più possente del paese con l’acqua che fuoriesce dal terreno ad una temperatura di 100°C. Nei dintorni di Reykjavik, il paesaggio ritorna ad essere verde, ricoperto com’è da soffice muschio. Lasciamo il Suzuki Gran Vitata con rammarico: si è comportato in modo impeccabile su ogni tipo di percorso e terreno.

All’ostello di Reykjavik, dopo nove giorni di solitudine, scambiamo parola con dei viaggiatori danesi che restano stupiti dal giro cha abbiamo compiuto. Passiamo una serata in un pub di tendenza, nel centro della città, a bere birra. La vita notturna della capitale, almeno il sabato sera, è molto animata. Incontriamo dei giovani fare il “ring tour”, il giro dei pub: in maniche corte, ubriachi e indifferenti al freddo, questi giovani entrano ed escono, passando da un pub all’altro. La cittadinanza non sembra farci caso più di tanto: nella capitale più settentrionale del mondo, la regola è vivi e lascia vivere, e non si è guardati e tanto meno giudicati. Reykjavik è una città libera da ogni etichetta e il suo maggior pregio è la silenziosa accoglienza che riserva al turista. Dal punto di vista architettonico offre ben poco, ma proprio non si può fare a meno di notare l’imponente struttura della chiesa di Hallgrìmskirkja, mentre contemporaneamente non si potrà non stupirsi nel vedere, per qualche via del centro, aggirarsi un cigno o un’oca provenienti al centralissimo lago Tjorn. Colpiscono, infine, le tante piscine all’aperto, frequentatissime anche in pieno inverno.

L’Islanda è un paese senza eguali al mondo, piccolo, dagli spazi tuttavia sconfinati, pieno di meraviglie naturali. Così è apparsa ai primi esploratori, e così è ancora oggi come ci ha confermato il nostro tour “Winter Expedition 4x4”. Un viaggio in Islanda offre l’opportunità di essere testimoni della Creazione: se la bibbia racconta che Dio creò la terra in sei giorni, e poi si riposò, qui la Creazione continua giorno dopo giorno…
Islanda: la forza primordiale della natura!

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